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Perché Iran e Israele non entreranno in un conflitto armato. Il punto geniale, Foreign Edition

La trappola di Tucidide rovesciata. Tel Aviv si sente da sempre minacciata dalle armi nucleari di Teheran. La tensione però potrebbe restare una eterna Guerra Fredda dei tempi moderni, che vede sullo sfondo gli interessi commerciali della Cina.

In un  bellissimo libro “Destinated for War” Graham T. Allison spiega come Cina e Stati Uniti cadranno nella cosiddetta trappola di Tucidide. Il termine trova origine dal postulato dello storico e generale militare ateniese Tucidide. Egli capì i motivi di fondo per i quali Sparta e Atene si sarebbero scontrate militarmente: la crescente paura di Sparta per l’ascesa della forza Ateniese avrebbe innescato lo scontro.

Utilizziamo questo postulato contestualizzandolo nel tempo e nello spazio a un altro potenziale conflitto: quello tra Iran e Israele. La crescente fobia – teorica  a nostro avviso – di Israele di essere attaccata con armi nucleari da parte dell’Iran dovrebbe condurre la prima a sferrare un attacco preventivo innescando di fatto un conflitto regionale su larga scala.

La trappola di Tucidide capovolta

Nell’ultimo periodo tra ambienti accadameci e mainstream, la tesi di un potenziale conflitto tra questi due Paesi si è fatta sempre più forte. Questa, però, si basa su fatti e dati che non tengono in considerazione alcune variabili sia interne sia esterne a Teheran e a Tel Aviv.

La nostra idea è che un conflitto tradizionale non sia una ipotesi per nessuno dei due i Paesi per almeno tre ordini di motivi concentrici.

La variabile interna gioca un ruolo fondamentale affinché le tensioni tra i due nemici restino sotto livelli di allarme.

La situazione interna in Iran

In Iran, la forte crisi economica è figlia sia delle sanzioni internazionali sia della pandemia. Si accompagna alla crisi sociale che si sta allargando su tutto il territorio e che sta mettendo a dura prova la leadership del presidente Rayeesi. Si vedano in questa prospettiva anche le rivolte partite dalla provincia a maggioranza araba del Kuzhestan e allargatesi a macchia di leopardo in altri distretti.

Rayeesi, insediatosi ufficialmente il 5 agosto scorso, avrà come primo obiettivo quello di riconquistare il consenso perso, così da gestire più agevolmente anche i dossier internazionali. Un compito non facile, considerato che l’affluenza alle urne a giugno è stata tra le più basse mai registrate.

La situazione interna in Israele

In Israele, l’interminabile stallo politico dettato dalla lunga e tumultuosa formazione del governo post Netanyahu, con una maggioranza del tutto inedita, ha spostato gli equilibri e il focus più sulla gestione della politica interna, inclusa la questione dei territori occupati.

La seconda variabile da tenere in considerazione è quella della stabilità regionale, che si muove in parallelo con quella che definiremo “fattore esterno”.

Fattori esterni israeliani: EastMed, il porto di Haifa

Il porto di Haifa

Una serie di progetti, tra cui la costruzione da parte di Israele di un nuovo gasdotto sottomarino EastMed che dovrebbe arrivare sino in Italia, spingono Tel Aviv a ridurre le tensioni internazionali nella regione.

Unitamente a questo, la necessità di attrarre capitali e finanziamenti da altri partner che non siano gli USA spingono Israele a dover ridurre l’incisività di alcune azioni militari per limitare i rischi collaterali verso attori esterni. In primis la Cina, con l’acquisto delle concessioni sul porto di Haifa.

I fattori esterni iraniani: Yemen e Afghanistan

Dal lato iraniano, la sovraesposizione militare nella regione sta inducendo sempre più Teheran a trasformarsi in baricentro nel Golfo e in Medio Oriente. Il supporto allo Yemen, il dislocamento di milizie proxy in Iraq e Siria, assieme al costante degradamento della situazione al confine con l’Afghanistan sono ulteriori elementi che trasformano Teheran più in una guida politica che in un vero e proprio braccio armato.

L’Iran, quindi sempre più elemento di stabilità che servirà anche per rassicurare la Cina sui propri investimenti nel Paese. Si parla di un accordo dello scorso marzo che dovrebbe portare nelle casse iraniane 400/600 miliardi di dollari per venticinque anni.

Il ruolo della Cina

Infine Pechino, che ha bisogno di ridurre il più possibile i conflitti su larga scala. Vuole infatti ottenere il massimo dagli snodi commerciali paralleli, che passeranno per paesi dell’Asia Centrale prima e Pakistan, Afghanistan e Iran poi.

Se l’impossibilità di uno scontro frontale rimane a nostro avviso un’ipotesi remota, non è esclusa l’eventualità di perpetuare una linea meno dura, ma non meno incisiva. La crisi sociale che attanaglia l’Iran in questi mesi potrebbe essere un buon banco di prova per Tel Aviv per cercare un’alternativa interna al paese persiano con cui dialogare e costruire le basi per delle relazioni più morbide.

Leggi l’ultimo punto geniale sulla politica interna italiana

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