La startup milanese Forever Bambù è leader in Europa nella coltivazione di questa pianta, che ha un potenziale enorme per l’assorbimento della Co2 e per la produzione di bioplastica. Nel 2022 si quoterà in Borsa.
Le foreste di bambù gigante che fanno bene all’ambiente. Forse parlare di rivoluzione copernicana sarebbe troppo. Ma l’avventura imprenditoriale avviata da Emanuele Rissone con Forever Bambù, società nata per promuovere la coltivazione di bambù gigante di origine asiatica e dar vita a un progetto che producesse benefici non solo dal punto di vista economico, ma anche ambientale, è comunque di quelle destinate a lasciare un’impronta indelebile e modificare radicalmente le regole del gioco.
“Tutto ha avuto inizio per caso nel 2014, in un periodo nel quale mi stavo godendo l’esperienza di fare il papà a tempo pieno dopo aver creato e venduto Vitamin Store, azienda che produceva integratori alimentari e li commercializzava in una propria catena di negozi”, racconta Rissone. “Il fatto di essere diventato padre di due bambine, che oggi stanno per compiere 9 e 11 anni, ha fatto sì che guardassi il ruolo dell’imprenditore con una prospettiva diversa, spingendomi a cercare qualcosa che avesse un impatto positivo e lasciasse un’eredita anche dal punto di vista ambientale”.
Dopo aver partecipato a una presentazione sulle potenzialità del bambù gigante “ho così deciso di gettarmi in questa avventura, che con il passare degli anni si è rivelata ancora più virtuosa di quanto avessi immaginato inizialmente”, ammette il fondatore di Forever Bambù, la cui intuizione di introdurre in Italia coltivazioni di bambù gigante si è rapidamente dimostrata un vero lampo di genio. A testimoniarlo il fatto che oggi la società è leader in Europa nella piantumazione di bambù gigante. E il fatto che dall’idea iniziale di coltivare foreste per vendere germogli, prodotti alimentari e legno per manufatti in bambù, si è arrivati a un progetto molto più complesso di green economy.
Il modello sviluppato da Forever Bambù si è, infatti, arricchito di altri due pilastri. Da un lato l’utilizzo del bambù per produrre bioplastica con un mix di plastica riciclata e fibra naturale di legno. Dall’altro la cessione in usufrutto alla grande industria di porzioni di foreste di bambù in Italia, dove dai due ettari con cui l’avventura era partita siamo oggi arrivati a un totale di 157 ettari a bambù (su 193 ettari di terreno tra Piemonte e Toscana), per compensare o azzerare la propria impronta carbonica, cioè le emissioni di Co2 prodotte dall’insieme delle attività di un’azienda.
“Cominciando a coltivare questa pianta, che raggiunge i 15-20 metri di altezza e che ha una crescita tanto rapida da detenere il record di velocità nel Guinness dei primati, ci siamo resi conto che può davvero diventare una risorsa preziosissima nella lotta al cambiamento climatico”, prosegue Rissone, che nel racconto di questa avventura mette una passione e un trasporto che sono forse più quelli del genitore di due bambine che dell’imprenditore. “Abbiamo infatti scoperto che se un ettaro di foresta tradizionale sequestra 7,7 tonnellate di Co2 all’anno, a patto di essere tenuto bene, un ettaro coltivato a bambù e gestito con i nostri protocolli ne sequestra 275 tonnellate all’anno (36 volte tanto, Ndr)”.
Questo ha un impatto non solo in termini ambientali, ma anche economici. La compensazione dell’impronta carbonica è, infatti, un obbligo per le industrie più inquinanti, ma anche una scelta sempre più diffusa tra i grandi gruppi nazionali e internazionali.
Non a caso nel quartier generale di Forever Bambù, all’interno del Centro Tessile Milano di Cernusco sul Naviglio, comune alla periferia Est del capoluogo meneghino, è un continuo viavai di rappresentanti della grande industria, interessati proprio a questo aspetto, oltre che di piccoli e grandi investitori interessati a far parte di questa avventura e di politici interessati a cavalcare l’onda green. “Al momento stiamo chiudendo un ultimo aumento di capitale, ma abbiamo già avviato i contatti per arrivare alla quotazione in Borsa nel corso del 2022, che sarebbe la prima in Europa per una società che fa foreste come le nostre”, annuncia Rissone.
Un passaggio che potrebbe comunque rappresentare solo un punto di partenza, per una realtà che oggi dà occupazione a una settantina di persone, che raddoppiano nella stagione di massimo impegno nelle foreste, ma che sembra avere possibilità di sviluppo quasi illimitate.