I palinsesti si adeguano e dopo l’abbuffata di medici e scienziati, ora spazio solo all’intrattenimento bellico. Con risultati come sempre discutibili.
Via i virologi, nei talk show solo esperti di guerra. C’è qualcosa di malato, e non solo causa pandemia, nell’informazione dei media nazionali. Basta accendere i teleschermi, o aprire uno dei giornali sopravvissuti alla crisi cartacea per rendersi conto che in un amen, così, da un giorno all’altro, siamo passati da virologi, infettivologi, epidemiologici a generali, militari e maestri di geopolitica.
E qui, vista la tragedia della guerra in Ucraina e dopo avere steso veli pietosi su vignette di dubbio gusto (virale quella di Putin che merita il premio Nobel per la medicina per avere cancellato il Covid), sarebbe anche normale. Ma la nostra informazione, o meglio il nostro modo di fare informazione, è normale?
È l’informazione, bellezza
Non c’è qualcosa di sbagliato, di imbarazzante e perfino offensivo in questo repentino cambio della guardia nei Tg e talk show di tutte le reti, quasi che, si tratti di un Sanremo qualunque, di una pandemia o addirittura di una guerra, l’importante sia sempre e solo parlare, parlare e parlare. Fino allo sfinimento, come se sua maestà l’audience non aspettasse altro. E spesso, aggiungiamo, a vanvera.
Perché l’essenziale è esserci, davanti ai riflettori. Pazienza se chi sta casa non ci capisce più niente, prima dei vaccini e ora delle bombe. E allora vai con le maratone belliche, chi se ne importa più degli scienziati mediatici. I palinsesti si riempiono di nuovi volti, di nuove star. Si gira pagina. È la tv, in tempo di guerra, bellezza.
Il tuttologo sempre in agguato
La cosa più deprimente è che, oggi come sempre, non mancano i tuttologi. Ovvero, quei personaggi che solo per il fatto di avere una certa notorietà in arti varie (e ci mettiamo anche molti politici, tanto ormai è tutto uno show), sprovvisti però di reali competenze, si sentono in diritto di dire la loro. Non importa se ciò che affermano abbia un senso, o induca a una riflessione: meglio anzi, molto meglio, se la loro tesi sia divisiva. Che se ne parli, che scateni commenti sui social, che non venga ignorata. Nulla teme di più, il nostro personaggio, che l’oblio.
Il timore, ma ormai è una certezza, è insomma che liberi dall’abbuffata di virologi, quando non c’era ora in cui non ti imbattevi in un esperto pandemico, ora si debba fare i conti con l’emergenza dell’intrattenimento bellico. Come se la guerra, quella vera che pure ha già i suoi reporter sul campo, non bastasse.
Oltre il camice l’elmetto?
Quanto a loro, ai cari e ormai inutili virologi, non è che però abbiano capito che per la dura legge dei media il loro tempo è finito. Alcuni sì, i meno egocentrici, hanno tirato il freno (con un… arrivederci, che non suona tanto bene), altri invece iniziano a riciclarsi.
Così a un Fabrizio Pregliasco che mette in guardia dal rischio di aumento delle malattie infettive durante le guerre, una Antonella Viola risponde con la tesi che le epidemie possono modificare l’esito dei conflitti. E se Matteo Bassetti ricorda che il Covid c’è ancora ed è assurdo non parlarne più sui media, Walter Ricciardi lancia l’allarme sui profughi ucraini da vaccinare. Mentre Massimo Galli arriva a dire: la guerra ci distrae dalla pandemia.
Ma se oltre al camice si mettono l’elmetto non conveniva tenerceli?