Putin non cadrà mai per una spinta che arriva dal basso, perché i russi sono antropologicamente diversi dagli occidentali. Sono un popolo unito, ma anche molto frammentato. Abituato a sacrifici economici e con una nuova generazione nata sotto questa leadership.
L’incessante stillicidio sanzionatorio e l’uscita dal mercato russo di aziende e marchi internazionali, dettando i tempi assieme alle cronache dal fronte, aprono ad una serie di interrogativi.
Quali sono i reali motivi – impliciti – delle sanzioni applicate alla Russia? Sono esse legate ad una politica che vuole indebolire la tenuta della leadership nell’ottica del conflitto? O puntano ad altro, come ad esempio un cambio di regime politico?
Lo strumento sanzionatorio, utilizzato in maniera inflazionata nel corso degli ultimi anni – soprattutto nei confronti del mondo russo – ha di fatto sortito effetti controversi, nel fornire risposte ad almeno due degli interrogativi sopra citati.
Le sanzioni non porteranno ad un cambio di leadership dal basso
I motivi per i quali non si arriverà ad ottenere il risultato di quello che reputiamo sia l’obiettivo finale di queste misure – cambio di leadership dal basso – sono molteplici ma qui ci soffermeremo su alcuni di essi.
Il primo punto da evidenziare è prettamente politico. Una grossa fetta del consenso attorno alla leadership è composto da una parte di ceto sociale che si sovrappone ad un certo apparato statale o para-statale che di fatto forma la classe media del paese.
Questa mantiene una sua posizione che definiremo qui “conservatrice” e che nella narrazione politica attuale si è compattata – già dal 2014 per dire il vero – attorno all’idea di protezione e sostegno della fratellanza russofona.
Tra costi economici e benefici politici si è sempre scelto il secondo
Altro punto da segnalare è l’errata analisi preventiva che è stata fatta ad occidente sugli effetti economici delle sanzioni. In questo senso, possiamo dire che l’approccio russo è rimasto praticamente invariato rispetto a quello sovietico.
In quello sovietico, infatti, l’analisi dei costi economici e benefici politici nelle scelte di politica estera hanno tendenzialmente favorito gli ultimi anziché i primi.
Un approccio imperialista: farsi carico delle proprie ambizione
Questo combacia in parte anche con la prospettiva imperiale russa: l’impero deve farsi carico dei costi delle proprie ambizioni di dominio delle aree che considera fondamentali e di influenza legittima.
Un focus interessante è anche quello dell’analisi storica e antropologica del popolo russo.
La narrazione occidentale pone un accento sulle capacità di resistenza ad un isolamento economico totale, chiedendosi se questo non possa provocare smottamenti politici dal basso.
L’unità del popolo per affrontare le diverse crisi
Chi in occidente ha deciso di intraprendere questa via, non tiene conto di alcuni aspetti cruciali del comportamento politico russo nel corso della sua storia.
Il popolo russo si è trovato da sempre ad affrontare periodi di isolamento, trasformando l’autarchia da stato politico-economico ad uno psicologico-culturale. Da qui anche una scarsa propensione al risparmio nei periodi di crescita, che servono a “risarcire” dalle ristrettezze dei periodi precedenti.
La dimensione autarchica e il perenne stato di emergenza hanno da sempre rappresentato la vera forza dei russi, che hanno trovato nell’unità un modo per uscire dalla crisi.
La nuova generazione è nata sotto questa leadership
La generazione che potrebbe non comprendere nell’immediato il perché di determinati costi economici in favore del determinismo politico è proprio quella generazione nata e cresciuta sotto l’ombrello di questa leadership, che ne ha favorito l’apertura verso quella cultura europea che adesso torna ad esserle avversa.
In fine quello che l’occidente non comprende è che, pur di non cedere, la Russia sarà pronta ad immolare se stessa.
Leggi: la pace impossibile senza la Cina
Leggi: misure restrittive dell’Ue alla Russia