I negoziati tra le parti continuano dietro le quinte, ma la pace difficilmente segnerà la fine delle ostilità a meno di uno sforzo comune di tutti i Paesi che hanno interessi nella questione ucraina.
L’analisi geopolitica non ci aiuta solo a inquadrare un determinato evento e le sue dinamiche, ma può offrire anche strumenti utili affinché alcuni di questi processi vengano identificati preventivamente o che i fenomeni che ne scaturiscono vengano interpretati adeguatamente.
Lo stallo strategico degli schieramenti in campo – nonostante il numero delle vittime su ambo i lati continui ad aumentare – ci offre lo spazio di analisi per la fase che per semplicità qui definiremo di “post-conflitto”, ma che rischia di non esserlo.
I colloqui procedono dietro le quinte
Lontano dall’attenzione mediatica dei primi round di negoziazione, i colloqui procedono a un ritmo intenso, registrando un accordo di massima su alcuni dei punti principali tra cui quello della neutralità. La solidità dei primi pilastri di questi colloqui dovrà essere poi trasformata in un’architettura tale da garantire un accordo al vertice tra i due presidenti.
Se su questa via l’ottimismo di molti sembra essere il sentimento più manifestato, sono altre invece le questioni che ci portano a una maggiore cautela. Il raggiungimento di un accordo di pace non sempre è atto condiviso all’interno di un paese; infatti, l’unità e la compattezza che si registrano attorno alla leadership durante un conflitto non si riflette sempre poi nella geografia politica di una nazione.
Questo potrebbe essere il caso dell’Ucraina, che ha visto nel corso degli ultimi mesi e soprattutto in queste settimane il moltiplicarsi sul terreno di figure carismatiche e movimenti politico-territoriali figli della tragicità degli eventi e quindi legati a un certo risentimento – giustificato se osservato dalla loro prospettiva – verso il nemico che potrebbe trasformarsi in frustrazione.
Ucraina, tutti i rischi futuri
L’accettazione della neutralità e smilitarizzazione (totale o controllata), o l’occupazione permanente di alcune zone del paese diverrebbe operazione difficile soprattutto nei confronti di quei gruppi più estremi che hanno fatto della lotta al nemico una ragione di vita. Le file di questi movimenti potrebbero ingrossarsi attingendo consenso in tutte quei cittadini che hanno abbracciato la causa nazionale.
Il rischio principale all’orizzonte è che, oltre alla continuazione delle ostilità – un accordo di pace non fermerà la guerra a bassa intensità come nei precedenti otto anni – si cada in un conflitto nel conflitto dove a fronteggiarsi saranno forze che fino a un attimo prima avevano un obiettivo comune.
L’accordo di pace per reggere deve mirare a misure integrative parallele che fungano da rete di protezione per non farlo precipitare come gli Accordi di Minsk.
Cosa serve per la ricostruzione
Per far ciò in primis è necessario un coinvolgimento diretto di Paesi con interessi reali nella questione ucraina, che fungano da garanti e promotori di iniziative tali da arrivare ad un processo di “post-transizione”.
Parallelamente a questo bisogna favorire la creazione di una fase politica “costituente/unitaria” di medio periodo, nella quale tutte le formazioni politiche e para-politiche ucraine coinvolte saranno messe nelle condizioni di evitare di cadere nella tentazione di trarre un vantaggio politico sfruttando, a seconda delle posizioni, i risultati finali dei colloqui di pace.
Zelensky sa che chi conduce un paese fuori da una guerra difficilmente sarà colui che gestirà la ricostruzione, ma questo non significa far saltare il banco. Churchill docet!