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Ucraina: chi sta vincendo tra Kiev e Mosca?

A quasi 5 mesi dal conflitto, ecco un primo bilancio che analizza lo stato dell’arte. Da una parte le sanzioni alla Russia non hanno prodotto la reazione sperata nel popolo, ma nel medio periodo il Paese rischia una dura recessione. Dall’altra, l’Ucraina perde terreno e alle spalle incombe la Polonia che cerca di approfittare della situazione, negoziando segretamente la spartizione della Galizia. Decisamente non un buon segno da parte di un paese europeo.

Entrati nel quinto mese di conflitto tra Russia e Ucraina, risulta complesso dal punto di vista analitico delineare un quadro di insieme per definire vinti e vincitori – pro-tempore.

Gli interrogativi in cerca di una risposta, infatti, sono innumerevoli. Sia sul piano strettamente militare, sia più in generale su quello politico-strategico.

Nell’analisi che segue cercheremo (nei limiti degli strumenti analitici in nostro possesso e sfruttando  l’osservatorio privilegiato – dal punto di vista scientifico – dal quale vi scriviamo) di dare risposta almeno a due degli interrogativi che più si ripetono nella narrazione quotidiana sugli eventi in corso: la durata e  l’estensione geografica del conflitto; gli effetti delle sanzioni occidentali su Mosca.

Gli effetti culturali delle sanzioni su Mosca: il Borsht va agli ucraini

Possiamo affermare che le sanzioni applicate alla Russia in risposta agli eventi del 24 febbraio non sono solo di carattere economico politico. Esse comprendono una componente culturale che di fatto alimenta una certa narrativa di Mosca.

Il riferimento è all’inserimento da parte dell’UNESCO della famosa zuppa Borsht nella lista dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità, chiudendo una controversia lunga mesi tra Russia ed Ucraina, a tutto vantaggio di quest’ultima.

Le conseguenze politiche: le sanzioni hanno fallito

Ecco perché le sanzioni alla Russia non aiuteranno

Dal punto di vista  politico i sei pacchetti di sanzioni applicate contro la Russia hanno fallito (come già avevamo previsto poche settimane dopo l’inizio delle operazioni russe) i loro obiettivi di breve periodo, tra cui i più rilevanti quelli di fermare l’inerzia del conflitto e provocare un cambio di regime.

Queste misure, infatti, non hanno tenuto conto di alcune caratteristiche antropologico-sociali radicate nel Paese, ossia la storica propensione autarchica. Di fatto solo poche fasce di popolazione, perlopiù nei centri urbani, soffriranno la “de-occidentalizzazione” del lifestyle.

Secondo fattore consolidatosi negli ultimi vent’anni è il ritorno al primato della politica, anteponendo la sopravvivenza dell’impero – Stato – al destino delle élite al potere.

Nel medio termine, la recessione potrebbe intaccare la leadership

Nel medio termine, invece, l’insistenza di queste misure potrebbero spingere l’economia russa verso una spirale recessiva che per forza di cose andrebbe a intaccare il gradimento politico intorno alla leadership.

Secondo quanto riportato dal centro di analisi economica dell’accademia presidenziale russa, il Pil del paese potrebbe segnare un picco negativo di crescita pari al 11.5%. Questa spirale recessiva è dettata da una serie di variabili macroeconomiche che di fatto si autoalimentano.

Vladimir Putin
Vladimir Putin

Il blocco delle importazioni preoccupa

La Russia è una cosiddetta Export led country , attraverso l’export di commodities, principalmente risorse energetiche. Nel corso delle ultime settimane l’effetto incrociato di stop alle importazioni, aumento delle esportazioni e apprezzamento del rublo stanno mettendo in allarme i dirigenti del ministero delle Finanze.

Infatti, sostenuto sostanzialmente dagli introiti dell’export di materie prime, il bilancio russo potrebbe necessitare di aggiustamenti pari ai 300 miliardi a causa del forte apprezzamento del rublo come dichiarato dal ministro Siluanov.

Il Paese dovrà modificare la sua struttura industriale: cruciali i partner orientali

Questo, insieme all’uscita di molte multinazionali non solo nel terziario, modificherà in parte la struttura industriale del Paese, che dovrà cercare nuova linfa se vorrà completare il processo di riconversione economica annunciato proprio subito dopo il primo ciclo di sanzioni nel 2014.

Per comprenderne però il reale impatto bisognerà attendere di capire se i partner economici non occidentali – fondamentali al momento per riscrivere le politiche industriali del futuro – saranno colpiti da sanzioni collaterali per il loro supporto a Mosca.

Non si può parlare di isolamento russo

Parlare di isolamento russo, quindi, è politicamente ed economicamente errato, anche se di fatto lo è se la si osserva dalla prospettiva euro-atlantica. 

Ucraina: chi sta vincendo tra Kiev e Mosca?
Ucraina: chi sta vincendo tra Kiev e Mosca?

Se l’economia rimane ancora un’incognita, la campagna militare nella sua nuova – terza – fase ha visto il raggiungimento degli obiettivi minimi imposti dal Cremlino: il completo controllo entro i confini amministrativi della regione di Lugansk e l’ulteriore avanzamento nell’area di Donetsk.

Gli obiettivi di Mosca sembrano mirare a molto più delle due regioni separatiste

Non apertamente (ri)dichiarati, gli obiettivi territoriali sembrano andare oltre le due regioni separatiste. L’analisi delle posizioni sul campo, assieme ad altri dati, porterebbe a far credere che Mosca vorrebbe tornare al piano originario di controllare la maggior parte delle regioni  – quantificabili in 11 – ad Est del fiume Dnepr, assieme alla fascia costiera sul mar Nero che le garantirebbe una sorta di unità territoriale con la Transnistria, trasformando tutta la regione in zona cuscinetto.

Trattative segrete tra Polonia e Russia

Questo piano si collegherebbe a quello che Mosca ritiene ormai una realtà, tanto da intavolarci una sorta di trattativa segreta: l’intenzione di Varsavia di federare parte della Galizia, presumibilmente in caso di ulteriore avanzata russa attraverso forze di peacekeeping che de-facto prenderebbero il controllo militare della regione.

Questa eventualità non andrebbe letta come l’intenzione di Mosca di spaccare il fronte europeo, ma segnali in questo senso arriverebbero anche da Varsavia, che più volte si è spinta a dichiarazioni politiche ambigue.

Un dato di fatto in questa direzione sarebbe l’accorpamento dell’episcopato cattolico ucraino a quello polacco. Irrilevante dal punto di vista militare, ma concreto segnale politico.

Se le ultime settimane sono state caratterizzate da una guerra di attrito tra i due fronti quelle che seguono potrebbero essere decisive per il destino del conflitto, con Mosca pronta ad alzare il tiro.

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