Alessandra Carati ci racconta gli effetti della guerra nella ex Jugoslavia attraverso le avventure di Aida, portandoci a interrogarci come sarebbero le nostre vite in un dramma del genere.
E poi saremo salvi, di Alessandra Carati, edito da Mondadori, inizia con una fuga. Aida ha solo sei anni quando scappa dalla Bosnia con sua madre. Il viaggio ha lo scopo di salvarsi dalla guerra, proiettandosi verso un futuro ignoto che, come unica certezza, offre la possibilità di ricongiungersi col padre in Italia.
Aida comincia così una nuova vita in una nuova città, resetta se stessa, la sua lingua e le sue radici per inserirsi in un nuovo contesto. Nel frattempo la sua famiglia si allarga e arriva anche Ibro, il suo fratellino. Col proseguire del conflitto la loro casa nei Balcani viene data alle fiamme e non si potrà più tornare indietro.
Gli effetti della guerra
Questo porta tutti i componenti della famiglia di Aida a diverse reazioni. Da un lato la madre, nella sua condizione da esule, ha un abbandono fisico ed emotivo, tutto viene lasciato andare aspettando lo scorrere dei giorni. Il padre di Aida vive nella frustrazione di non poter aiutare la resistenza nel suo Paese e di non poter combattere al fianco di suo padre e, allo stesso tempo, subisce il peso della responsabilità di garantire una sicurezza economica in un nuovo Paese alla sua famiglia adattandosi a vivere come cittadini di serie B.
Aida ha una reazione di rifiuto delle sue origini, buttandosi il più possibile nel suo nuovo Paese. Si affeziona a una coppia di volontari che sta aiutando la sua famiglia, al punto tale di sostituire quasi le figure genitoriali. È una storia in stretta correlazione con la grande Storia che ha caratterizzato i primi anni novanta con la guerra balcanica e, dall’altra parte, una storia intima, una storia familiare. Tutto quello che accade sul piano della grande storia tocca la vita della famiglia.
E poi saremo salvi: e se fosse solo un’illusione?
Il titolo, E poi saremo salvi, fa riferimento a una delle prime battute del libro pronunciate dalla madre di Aida. E, a fronte di quanto succede a seguire nelle loro vite, suona quasi drammaticamente sarcastico.
Il romanzo affronta il tema sempre purtroppo attuale delle persone che scappano dalla guerra e non possono tornare indietro. Non sono cittadini italiani e nessuno li fa sentire tali. Lo si evince dai piccoli gesti, ad esempio quando la gente parla con loro, lo fa usando il “tu”. Qui in Italia hanno la padronanza linguistica di un bambino di sette anni, mentre nelle loro città di origine ricoprivano con tutta probabilità un ruolo lavorativo o una posizione sociale di un altro livello.
La storia dei profughi è quella di chi è costretto a scappare, che non vorrebbe ma deve mettersi in salvo. Allo stesso tempo non può nemmeno tornare indietro, affrontando un taglio radicale con le radici. La casa dei protagonisti, ad esempio, viene data alle fiamme.
Rabbia e strategie di autodifesa
In Aida, la protagonista del romanzo, quanto vissuto genera una resistenza rabbiosa, fa esperienza delle conseguenze che questa guerra genera sul corpo dei suoi genitori e nella vita famigliare.
Per Aida è difficile decidere di lasciarsi assorbire dall’affetto di un’altra persona, volontaria che diventa una seconda madre e una seconda patria. Accogliere l’affetto di un’altra donna come figura femminile di riferimento genera in Aida un conflitto che la dilania: non smette di desiderare sua madre, ma capisce che sua madre non è sufficiente.
Le vittime di guerra che diventano loro malgrado profughi attivano distinte strategie di autodifesa e tra queste esiste la sindrome della rassegnazione: ad esempio, per tornare ai giorni nostri, esiste un gruppo di bambini, figli di profughi ucraini nei Paesi scandinavi, che si sono addormentati restando in uno stato letargico.
Aida non cade in un sonno profondo, ma in una protesta oppositiva ai genitori che la porta fuori dal seno famigliare. Se ne renderà conto solo dieci anni dopo, quando capirà la scelta della sua famiglia.
Dall’ex Jugoslavia alla guerra in Ucraina
Alessandra Carati dà voce a più storie di profughi e a più esperienze, che è riuscita a raccogliere grazie a continui contatti con chi ha vissuto la guerra nella ex Jugoslavia e recandosi anche nei luoghi di origine di questi profughi, toccando con mano la loro quotidianità.
Incontra questa realtà nel 2008, ma non è ancora pronta per raccontarla ed elaborarla.
Nel 2016 decide di riprenderla in mano perché più attrezzata per farlo. Passa molto tempo con queste persone, fa viaggi in Bosnia, capisce cosa è successo dopo la pace di Daytona e com’è lo stato attuale della convivenza tra le varie etnie.
Un romanzo che riattiva il ricordo di una guerra che si è svolta a due passi da noi in un’epoca in cui la guerra in Ucraina ci porta inevitabilmente a interrogarci e a chiederci come sarebbero le nostre vite in un dramma del genere.
La potenza narrativa di Alessandra Carati ha il valore aggiunto di stimolare il lettore ad andare oltre le pagine del romanzo e di solleticare quella voglia di conoscenza come solo i libri tanto appassionanti sanno fare.
E poi saremo salvi. Leggi le altre recensioni dei libri selezionati da Notizie Geniali.