La vittoria di Donald Trump avrà un impatto immediato sui conflitti in Ucraina e Medio Oriente, ma peserà anche sui rapporti economico-diplomatici con Pechino e Bruxelles
La vittoria del movimento MAGA – Make America Great Again – che porterà il 20 gennaio prossimo Donald Trump a giurare come 47esimo presidente USA non può definirsi del tutto inaspettata, almeno per gli addetti ai lavori.
Nonostante i sondaggi degli ultimi tempi evidenziassero una risalita del Ticket Harris – Walz, la leadership democratica aveva già ben presente la debacle subito dopo il primo confronto Biden – Trump che portò il presidente uscente a ritirarsi dalla corsa a un secondo mandato in favore della sua vice Kamala.
La scelta degli americani, quindi, è nuovamente caduta su un interesse strettamente di politica interna. Sebbene l’amministrazione Biden abbia raggiunto buoni risultati dal punto di vista economico, la comunicazione di questa durante il mandato è stata messa in ombra da una proiezione verso l’estero con il coinvolgimento in conflitti – vedi Ucraina e Medio Oriente – che l’americano medio non sente proprio.
Se i risultati della lunga notte americana hanno portato segnali positivi nei mercati, un grosso interrogativo per quanto ci riguarda rimane quello della politica internazionale e come con un Trump 2.0 essa cambierà.
Frenare le guerre inutili cambiando il paradigma di intervento da “when we can” a “if we need”
Come già annunciato durante la campagna elettorale e ripetuto nel discorso di stamane ai suoi supporter, l’intenzione di Trump è quella di frenare le guerre inutili cambiando il paradigma di intervento da “when we can” a “if we need”. L’impatto di questo paradigma sul conflitto russo-ucraino sarà immediato; non potendo fermare una guerra che si avvicina al suo terzo anno con costi inestimabili per Washington e Unione Europea quanto per Mosca, il congelamento del conflitto con uno status quo permanente è l’unica via per il tycoon per mantenere le sue promesse e spostare risorse su altri scenari. Ma con quali conseguenze?
Le conseguenze nei rapporti con Mosca e Pechino
Il Cremlino è cosciente di questa eventualità e nelle prossime settimane sicuramente muoverà le sue pedine con una serie di offensive mirate a racimolare più territori possibili da usare al tavolo delle trattative. Mosca, oltre a dei negoziati a proprio vantaggio, potrebbe incassare anche un allentamento della pressione dal punto di vista sanzionatorio – il dossier dello scongelamento degli attivi all’estero rimane in primo piano – in modo da rimarcare il proprio status di potenza internazionale, smarcarsi da Pechino e favorire di fatto lo scontro Pechino-Washington.
Se lo scontro con la Russia di fatto non rappresenta un grande problema strategico per la realizzazione del piano offerto agli elettori in campagna elettorale, districarsi nelle trappole che il Medio Oriente pone non sarà altrettanto facile.
Gli eventi del 7 ottobre 2023 hanno in pratica fatto saltare la road map segnata dagli accordi di Abramo del 2020. Trump avrà bisogno di riproporre una versione 2.0 di questi per raggiungere l’obiettivo rimarcato a più riprese dell’indipendenza energetica statunitense, che passerà con un affrancamento di facciata – almeno nella fase iniziale – dal petrolio arabo.
Nuovi accordi per il Medio Oriente
Per far ciò i nuovi accordi dovranno sicuramente passare per un cambio di politica nel conflitto israelo-palestinese a discapito di Tel Aviv, sacrificando forse Bibi Netanyahu in favore di una leadership più accomodante e meno aggressiva. Abbassare la pressione su Palestina e Libano, compattare il blocco Arabo su nuove relazioni con lo Stato Ebraico potrebbe sortire anche un effetto indiretto per la Casa Bianca; isolare Teheran e le forze estreme da lei supportate.
Se il motto “Make America Great Again” potrebbe ridefinire positivamente il risiko dei maggiori conflitti in corso, questo non sarà a costo zero nella dinamica dei rapporti economico-diplomatici con altri attori internazionali.
La guerra dei dazi
Lo scontro sui dazi con Pechino questa volta potrebbe trasformarsi in una vera e propria guerra commerciale. Il dragone asiatico arranca e un innalzamento delle barriere con nuovi dazi costringerebbe Xi ad una serie di risposte asimmetriche per mantenere salda la sua leadership domestica, ma anche internazionale.
Dazi e Tariffe che andranno a toccare il Vecchio Continente che durante l’amministrazione Biden tanto ha speso a causa del conflitto in Ucraina e che adesso si ritroverebbe penalizzato non solo in campo energetico, ma anche commerciale. Se la vera sfida per Pechino nei prossimi 4 anni sarà quella di dimostrare di essere il vero nuovo antagonista degli USA, Bruxelles dovrà trovare la forza di compattarsi e dimostrare una volta per tutte che l’UE è diventata maggiorenne.
La grande lunga notte americana appena trascorsa non sarà l’unica grande sorpresa del momento; i prossimi quattro anni saranno cruciali per definire come sarà il mondo di domani.
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