È partita dalla Silicon Valley per approdare, con qualche anno di ritardo, anche in Europa e in Cina. Ma il vero cuore della rivoluzione planetaria dell’auto elettrica batte a Milano. O, per essere più precisi, alla periferia di Baranzate, comune a una manciata di chilometri a Nord del capoluogo meneghino ed ex frazione di Bollate.
È qui, infatti, che si trova il quartier generale di Euro Group Laminations, realtà il cui nome potrà anche risultare ignoto ai non addetti ai lavori, ma che è invece leader mondiale nella produzione di rotori e statori – di fatto il cuore rotante – dei motori che equipaggiano auto elettriche, treni, metropolitane, elettrodomestici e qualsiasi altro prodotto in cui sia previsto un motore elettrico. Tra i suoi clienti ci sono tutti i principali produttori di veicoli elettrici al mondo e le aziende specializzate nella produzione e/o utilizzo di motori elettrici. Da Volkswagen a Porsche, da Ford a General Motors, da Chrysler a Siemens, da Bosch a Marelli.
E pensare che tutto è nato nel 1964 con una piccola attività che all’epoca contava sei operai e che “produceva rotori e statori per i motorini elettrici dei frullatori della Bialetti”, racconta il presidente di Euro Group Laminations, Sergio Iori. “Poi, dai sei operai di quegli anni siamo passati ai più di 2 mila dipendenti di oggi, con 12 stabilimenti, di cui 7 in Italia e 5 nel mondo (Messico, Stati Uniti, Cina, Tunisia e Russia), e la leadership a livello mondiale nel nostro settore”.
In mezzo, oltre cinquant’anni di storia tutta da raccontare, vissuta con la capacità di trovare una sintesi tra lo spirito da sognatori e l’esigenza di tenere bene i piedi per terra, in quella che ancora oggi resta un’azienda caratterizzata da una forte cultura famigliare. “Sono sempre stato un sognatore concreto”, scherza Iori, nel cui ufficio campeggia un castello di cartone sospeso in aria regalato da un amico.
“Nei primi decenni di attività abbiamo lavorato soprattutto per il settore dell’elettrodomestico: frullatori, lavatrici, lavastoviglie e tutto ciò dentro cui c’è un motorino elettrico”, racconta il presidente del gruppo, i cui occhi esprimono ancora quella vitalità e quel “fuoco” che forse sono il vero segreto del successo dell’azienda, ancora più della capacità di immaginare il futuro in anticipo sulla concorrenza e di assumere le decisioni strategiche migliori e con i tempi giusti.
“Poi, quando tra gli anni Novanta e Duemila iniziarono ad arrivare i prodotti a basso costo dalla Cina, la nostra produzione si è progressivamente spostata sui rotori e statori per i motori industriali, per i treni, gli impianti di condizionamento, quelli di refrigerazione, la domotica e l’industria automotive, con i motorini per i tergicristalli, gli specchietti retrovisori, l’Abs, il tettuccio apribile e il resto. Infine, sono arrivate le auto a motore ibrido e motore elettrico”, spiega Iori.
Una progressione che nessuno avrebbe nemmeno osato sognare una quindicina di anni fa quando, tra il 2004 e il 2005, il gruppo decise di aprire il primo stabilimento all’estero, in Messico, su sollecitazione della Bosch. “Allora eravamo i primi in Europa”, ricorda il presidente, “ma la scelta di internazionalizzarci rappresentò comunque un motivo di difficoltà, perché non tutti in azienda eravamo della stessa idea”.
Invece, quella prima uscita dalla comfort zone domestica rappresentò un passaggio cruciale per la conquista del mercato nordamericano e di tutto ciò che sarebbe avvenuto dopo, con una rapida espansione e stabilimenti anche negli Stati Uniti, in Cina, Tunisia e Russia. Una crescita che oggi va a braccetto con il settore dell’automotive, il quale rappresenta circa il 40% del fatturato del gruppo e che nei prossimi cinque anni è destinato ad assumere sempre più peso grazie ai contratti già firmati con Porsche, Volkswagen, Ford, GM (attraverso LG che produce motori in Cina), gruppo FCA (tramite Marelli) e altri colossi.
Niente male per una realtà che oggi dà lustro internazionale al nostro Paese. E pensare che “quando andavo all’estero negli anni Sessanta, a chi mi chiedeva dove fosse la fabbrica rispondevo che era a Milano, a una cinquantina di chilometri a Sud della Svizzera, perché la fama di cui godeva l’Italia era quella che era”, conclude Iori.
Libero, 17 ottobre 2020 (ultimo aggiornamento 20 ottobre 2020)