La famiglia Balter è impegnata dal lontano 1872 nella coltivazione di una proprietà posta su un pianoro che sovrasta la città di Rovereto. Qui troviamo, tra querce e alberi d’alto fusto, i vigneti impiantati nel 1965 sui terreni dopo la bonifica delle bombe che li avevano devastati durante la seconda guerra mondiale, quando la proprietà era stata occupata dall’esercito tedesco, che ci aveva posizionato i cannoni della contraerea
Non era come oggi. Non era come adesso. Prima la guerra la sentivi arrivare, eccome. Il tempo di far disperdere il suono del primo boato e sapevi benissimo che tutto, in un istante, sarebbe cambiato. Che nulla sarebbe mai più tornato come prima.
La famiglia Balter dal 1872 si trova appollaiata sopra una sorta di altopiano che domina Rovereto e di storie di guerra ne conosce molte. Tanto che ancora oggi nei suoi vini emerge, in qualche modo, quella voglia di convivialità che ha preso il posto dell’odio, delle dispute e dei distinguo che hanno macchiato il cosiddetto secolo breve.
Per capire in quale contesto ci troviamo è necessario un salto indietro nel tempo, alla seconda guerra mondiale: perché la contraerea abbia senso e successo ha bisogno di un posto dove cielo e terra siano il più vicini possibile. Devono fondersi l’uno con l’altra per lasciare al tiratore quanta più luce per calibrare il tiro.
Per questa ragione, durante il secondo conflitto, le vigne in altopiano della famiglia Balter e la loro casa che in mezzo alle viti trova ricovero e assomiglia a una fortezza sono state requisite dai tedeschi, che ci hanno posizionato i cannoni della contraerea.
Le bocche di fuoco allestite in mezzo alle vigne sono servite sia per dare la caccia ai velivoli, sia per intimorire il nemico lasciandogli credere che i cannoni fossero molti più di quelli di cui, in realtà, si disponeva. Molti, infatti, erano finti. Erano solo delle sagome di cartone, che comunque occupavano tutti i terreni della famiglia.
Nelle storie di guerra quello che non viene mai detto, perché solitamente si vedono solo sparare, è che i cannoni della contraerea sono come una sorta di carta moschicida: catturano tutte le bombe che ha a disposizione il nemico.
Ecco perché alla fine della guerra le vigne della famiglia Balter, oltre a non essere sopravvissute, non potevano più nemmeno essere nell’immediato reimpiantate: sotto i terreni poteva trovarsi un numero imprecisato di bombe inesplose.
Da questo problema, dalla necessità di fare qualcosa, dalla voglia di tornare alla normalità è iniziata la storia moderna della famiglia Balter, che ha origine con il nonno Franco, agronomo di paese (invero Francesco, ma chiamato così solo dall’ufficiale dell’anagrafe civile).
La bonifica dei terreni dalle bombe e il reimpianto dei nuovi vigneti ha richiesto moltissimo tempo. Ciò ha lasciato enormi debiti, che sono stati ripagati dalla famiglia intraprendendo parallelamente altre iniziative imprenditoriali, molto più remunerative nell’immediato della sola coltivazione della vite.
Solo nel 1990 la famiglia Balter ha ritrovato la voglia e lo slancio necessari per ritornare a produrre vino. E così in quell’anno è nata l’Azienda agricola Balter, fondata dal nonno Franco, dal figlio Nicola e con il futuro consegnato nelle mani di Clementina.
Il loro prodotto base, un Metodo classico Brut, è un esercizio di stile e di eleganza, che si contraddistingue per verticalità, precisione e mineralità. Può essere preso a modello per capire quali caratteristiche debba avere una “bollicina” per essere chiamata degnamente di montagna. La presa di spuma dello Chardonnay che ha fatto acciaio consegna un prodotto esatto, anche nel rapporto qualità prezzo.
Poi, fuori da quei canoni della bellezza, ecco che si scopre lo stile della famiglia Balter, probabilmente scelto in passato, e oggi inconsapevolmente mantenuto, in contrapposizione alle tante tribolazioni patite nel dopoguerra. I loro vini sono una coccola continua e costante per il palato, aiutano la convivialità perché sono facili da bere, aiutano ad asciugare le lacrime perché possono essere consolatori. Non escludono nessuno dalla tavola. Non allontanano le persone. Non fanno distinguo di sorta, sono includenti.
Per originalità nella scelta piace raccontare soprattutto il bel Barbanico (è una crasi tra nomi di Barbara e Nicola), vino rosso nato dalla somma di Lagrein (60%), Merlot e Cabernet Sauvignon. Stupisce in bocca perché non ti aspetti che abbia già addomesticato tutti i tannini, anche se bevuto giovane. È rotondo, non invadente, pronto da bere per chiacchierare del più e del meno.
Stessa sorte e stesso stile si possono ritrovare nella Riserva Balter Metodo Classico. Un giro di legno in parte del vino utilizzato per la presa di spuma, ancora uvaggio Chardonnay, la riserva offre al palato un vino diretto, comprensibile, ampio, coerente con i sentori promessi al naso e poi trovati puntualmente in bocca. È un vino che per ampiezza e complessità può star bene da solo oppure può accompagnare una tavola dall’inizio alla fine.
Da ultimo il congedo dalla cantina, ricavata proprio sotto le vigne. In maniera del tutto irrazionale e ingiustificata (purtroppo non inaspettata) ha fatto venire voglia in chi scrive di “ciccia” (carne) con l’osso alla brace. Così, sebbene non si ami il genere rosato, ha vinto l’idea di accendere un fuoco accompagnato da una magnum del loro vino. In fin dei conti, qualcosa bisognerà pur inventarsi per passare le vacanze di Natale in casa.