Ristoranti chiusi, bar serrati, aperi-panettoni contingentati. Rimane la possibilità di cucinare, ma per chi? Per quanti? Per quando? Niente. L’incertezza regna sovrana. Allora zero banchetti luculliani, niente tavolate per eserciti affamati di commensali che poi dovrebbero scappare a casa entro le 22, come dei novelli Cenerentoli. Accontentiamoci del cibo… teorico. Come il grande “teorico” Arrigo Sacchi, allenatore stellato che però non sapeva giocare a pallone. Si può pensare ad una cena per pochi affetti stabili e/o congiunti e/o conviventi. Arrovelliamoci allora sulla cena perfetta. Analizziamo le proprietà di ciò che mettiamo in tavola. Ma soprattutto studiamo gli abbinamenti giusti.
Sempre in coppia come i carabinieri
Gli alimenti, dalla notte dei tempi ad oggi, si sa, vanno sempre in coppia. I cibi, dolci e salati, animali o vegetali, freddi e caldi, yin e yang, hanno la tendenza naturale o culturale ad accoppiarsi. Lo fanno sia con propri simili – seguendo i dettami del proverbio della moglie e buoi – sia con esponenti anche molto distanti dalla propria matrice sensoriale. È l’uomo che, per svariate credenze culinarie, influenze religiose, tradizioni sociali e quant’altro, ha la tendenza a celebrare matrimoni gastronomici tra due o tre o svariate pietanze (in quest’ultimo caso del tutto lecitamente, senza che scatti la denuncia per poligamia gastronomica).
I motivi? Molteplici, ma in sintesi possono essere riassunti più o meno così: un cibo viene accoppiato a un altro per integrarne o migliorarne alcune caratteristiche, che possono essere di tipo nutritivo, qualitativo, strutturale e organolettico.
Qualche esempio? Aglio e olio si accoppiano alla perfezione: l’uno dona il sapore, l’altro mette a disposizione i suoi lipidi per veicolarlo al meglio. Una coppia allargata, solidissima, è pane, burro e marmellata, dove la fetta ci mette la struttura e l’energia degli amidi, il burro il suo profumo e il grasso, mentre la confettura dà l’impronta dolce caratteristica del frutto da cui è ricavata.
Abbinamenti che (non) fanno a cazzotti
E prosciutto e melone? Il formaggio con le pere? Sono un caso un po’ diverso. Il salume di coscia e i derivati del latte sono alimenti che già da soli stanno bene, avendo struttura e caratteristiche sensoriali piene, definite e complete. In questo caso l’accoppiamento non avviene certo per perfezionare il sapore dei singoli elementi.
Piuttosto per ampliarne lo spettro, renderlo più completo, più intenso, più equilibrato. Infatti, in entrambi i casi i frutti donano ai prodotti animali i loro aromi e la loro freschezza, smorzando la sapidità con il loro gusto dolce e dando succulenza a prodotti in genere piuttosto asciutti.
Alla stessa stregua si abbinano piacevolmente le fave con il pecorino e il salame con i fichi. Per analogia anche il latte fa coppia con il caffè: ne smorza l’amaro, donando morbidezza e tendenza dolce; l’uovo si unisce agli asparagi, avvolgendone le durezze con la propria frazione grassa; il risotto alla milanese, col suo giallo-zafferano, dà colore e finezza all’ossobuco che accompagna, il quale da parte sua sostiene il piatto unico con la sua impegnativa struttura; e infine la burrata morbida e lattica si lascia favorevolmente inebriare dalla spiccata sapidità e dall’aroma pungente delle acciughe.
La chimica propone abbinamenti “impossibili”
Le nuove frontiere degli abbinamenti? Vanno ben oltre le casistiche appena descritte. Dalla contaminazione del lavoro degli chef con quello dei chimici è stato scoperchiato un nuovo giacimento sensoriale. Si tratta di una tipologia di abbinamenti di cibi lontanissimi tra loro, diremmo “impossibili”, che però stanno incredibilmente bene insieme. Lo chef che per primo ha dato il la allo studio e all’applicazione innovativa del food pairing è il londinese Heston Blumenthal: cuoco autodidatta, tristellato nel 2004, è il patron di The Fat Duck, ristorante migliore del mondo nel 2005. Nella sua cucina si abbinano tranquillamente caviale e cioccolato bianco, banane e prezzemolo, oppure salmone e liquirizia.
Il segreto di misteriosi accoppiamenti
Cosa rende possibile (e mangiabile) l’accostamento di alimenti così diversi? Dipende dal loro quadro aromatico, ovvero delle varie molecole che hanno sapore o un profumo percepibile al palato. Se due alimenti hanno una o più molecole uguali, allora possono dare luogo a una combinazione che risulta gradevole al palato. Un esempio: la molecola dell’indolo. Contenuta sia nel fiore del gelsomino, sia nel fegato di maiale, rende miracolosamente abbinabili le due materie prime alimentari. Con grande soddisfazione della gola.
Molte, se non addirittura infinite, sono state le prove tra cucina e laboratorio. Si è scoperto, ad esempio, che la carne cotta e il cioccolato condividono delle molecole, chiamate pirazine, e per questo risultano ben abbinabili (come nel caso della ricetta tradizionale romana della coda alla vaccinara, in cui è presente il cacao!). Altri esperimenti? L’abbinamento tra ananas e blue cheese, un formaggio erborinato, che ha dato riscontri positivi. Oppure la banana insieme al prezzemolo, alimenti che hanno in comune la molecola del linalolo; la carota confrontata con il fiore della violetta, che condividono lo ionone; o il cioccolato bianco e caviale che, condividendo la trimetilammina, possono essere avvicinati e degustati tal quali, su tartine oppure a guarnire una candida e delicata crema di patate. Quindi lo famo strano?