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La nave che ha bloccato il canale di Suez Ever Given è costata 9 miliardi di dollari al giorno

Per l’Italia il danno non è ancora stimabile, perché si potrà definire quando la merce sarà arrivata e accumulerà ulteriori ritardi per l’effetto congestione. Questa però è l’occasione per ripensare al modello manageriale anche nella Supply Chain.

La nave che ha bloccato il canale di Suez Ever Given ha portato agli onori delle cronache un luogo ormai dato per scontato, facendo notare la sua importanza.

Suez, cos’è costui?

Il Canale di Suez può essere definito come un alveo artificiale navigabile. È situato in Egitto, tra Porto Said sul mar Mediterraneo e Suez sul Mar Rosso.

La sua strategicità è dovuta al fatto che permette la navigazione diretta, dal Mediterraneo all’Oceano Indiano, senza la necessità di circumnavigare l’Africa sull’Oceano Atlantico. In sostanza, fa risparmiare circa 6-8 giorni di navigazione.

Il blocco del Canale: 9 miliardi di dollari al giorno

Lla nave Ever Given è un portacontainer di 400 metri di lunghezza, 54 di larghezza, 224.000 tonnellate per 20.000 TEU (acronimo di twenty-foot equivalent unit).

Il Canale di Suez

La nave ha bloccato la navigazione del Canale per quasi una settimana. I danni economici calcolati sono circa 9 miliardi di dollari per ogni giorno di blocco del canale e complessivamente, per ora incalcolabili.

Il valore commerciale del Canale

Si deve pensare che dal Canale di Suez passa circa il 12% del commercio mondiale, il 30% dei container, il 10% delle merci, il 4,4% del greggio mondiale, 54.000 tonnellate di cereali all’anno, 53.000 tonnellate di minerali e metalli, pari a oltre 4 volte il valore che attraversa Panama.

Si può dire che sia una vicenda che lascerà sicuramente il segno per i commerci mondiali. Soprattutto considerando il contesto in cui avviene, caratterizzato da una pandemia che ha provocato danni economici, oltre che di salute, enormi. Anche l’Italia, è prevedibile, subirà conseguenze considerevoli.

Una tempesta perfetta

Ne abbiamo parlato con Giuseppe Infantino, esperto di logistica e trasporti. Ha un passato in Unilever come Vice President Supply Chain Foods Category Europe e oggi è partner di YOURgroup, la prima società Italiana di Fractional Executive.

Giuseppe Infantino

“La prima cosa da sottolineare è che l’incidente avviene in un momento in cui convergono una serie di fatti che ne stanno amplificando gli effetti”.

Si tratta di “una tempesta perfetta: il Covid-19, la Brexit, la crisi di approvvigionamento e il rincaro di acciaio, alluminio e plastica e l’impennata del costo dei trasporti marittimi”. 

Gli effetti per l’Italia: qualche centinaio di milioni di euro

Se il mondo soffrirà di questa situazione è facile prevedere che il nostro Paese avrà conseguenze ben peggiori di altri. L’Italia è tradizionalmente un Paese trasformatore, che vive di import ed export e che ha problemi cronici di elevata burocrazia e di pochi investimenti infrastrutturali.

È probabile che ci saranno costi imprevisti e ingenti per le aziende. In primis le cancellazioni di contratti, poi le penali. Infine il dano per gli operatori del settore navale che hanno rallentato il lavoro.

Per l’Italia l’ipotesi più probabile è di una cifra di qualche centinaio di milioni di euro.

Rischio congestione e innalzamento dei prezzi

Secondo Infantino “quando il Canale di Suez riprenderà a fluire regolarmente e buona parte delle navi arriveranno a destinazione negli scali italiani, ci saranno difficoltà operative dovute alla congestione che si verrà a creare”.

“L’impatto più negativo lo avrà il settore industriale italiano. Il ritardo delle consegne di merci nella filiera produttiva causerà un innalzamento dei prezzi, nella situazione più ottimistica”.

Un blocco che potrebbe cambiare gli equilibri geopolitici

Per Infantino, poi, il rischio peggiore è quello geopolitco: “Quanto accaduto a Suez potrebbe essere utilizzato da Russia e Cina per promuovere la rotta artica. È un rischio enorme, perché così si isolerebbe il Mediterraneo”.

Ed è proprio questo il punto: l’incidente di Suez capita in una situazione già critica di per sé. Ci obbliga a riflettere per capire cosa le aziende italiane dovrebbero fare per far fronte ai ritardi nelle consegne di materie prime. Prepararsi meglio ad affrontare accadimenti che assumono sempre meno il carattere dell’eccezionalità è uno degli aspetti.

Adottare per il management un modello Fractional

E quindi, che fare? “Premesso che non esiste la bacchetta magica, ma la preparazione, l’esperienza e la professionalità dei manager deve essere in grado di proteggere le aziende. Bisogna sapere come mettere in atto rapidamente le opportune azioni correttive” dice Infantino.

“Occorrono nelle aziende figure manageriali altamente competenti, anche a progetto con il modello Fractional, con esperienza fatta sul campo, a fianco dell’imprenditore e dell’azienda”.

Un esempio pratico? “Nelle scorse settimane, in un’azienda per la quale gestisco la Supply Chain, ho avviato un tender ad hoc su tutti gli imballi da materie prime plastiche per ovviare alla crisi dei polimeri in atto”.

Risultato? “Semplificazione del portafoglio fornitori, partnership e maggior bargaining power, razionalizzazione delle SKUs, accordi mirati al miglioramento delle condizioni alla fine della crisi”.

“Tutto questo è stato possibile grazie al mio bagaglio di passate esperienze e al network di relazioni con altri professionisti con cui lavoro. Senza questi elementi avremmo sicuramente perso tempo nel vedere l’evolversi della situazione, con ulteriori danni economici”.

Leggi anche quanto vale il nuovo Premier italiano Mario Draghi per il suo Paese

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