“Basta con i provvedimenti a singhiozzo”, tuona il segretario degli Ambasciatori del Gusto. “La ristorazione è fatta non da artigiani, ma da imprenditori. Bisogna parlare di come aprire, non di quando chiudere”
Il patron della trattoria più chic di Milano non apre. Cesare Battisti, chef del Ratanà non aderisce alla protesta “io apro 15/01”.
«Crediamo che questa apertura forzata non sia una soluzione, ma una reazione di pancia fatta in maniera sconsiderata, occorre ragionare a mente lucida», riferisce lo chef anche a nome degli Ambasciatori del Gusto, l’associazione di cui è segretario generale che rappresenta in tutto il Mondo l’identità enogastronomica italiana.
Investimenti per riapertura in sicurezza
Battisti chiede una riapertura sicura, regolamentata e controllata, che spazzi via una volta per tutte l’idea del ristorante come untore. «Già nei mesi estivi abbiamo ottemperato, con grandi sacrifici, a tutti gli obblighi imposti dal legislatore, che sono diventati nuovi standard di sicurezza».
Il Ratanà, come gran parte dei 200mila ristoranti in Italia, ha fatto grandi investimenti in ottica di prevenzione della diffusione del virus. «Siamo partiti con mascherine e igienizzante, ma poi abbiamo anche dimezzato i coperti, acquistato due macchine a ozono per la disinfezione dell’aria, sanifichiamo i filtri dei condizionatori ogni settimana e abbiamo persone in più dedicate alla misurazione della temperatura dei clienti e all’igienizzazione delle superfici con cui l’ospite, una volta alzato dal tavolo, viene a contatto».
In soldoni? Circa 50 mila euro investiti tra attrezzature e contratti per noleggi tavoli nei mesi estivi, sviluppo app per menù on-line e piattaforme per e-shop. Ma, nonostante questi sforzi, il fatturato è crollato. Meno 60% quello del ristorante di via De Castilla. Un dato che, secondo Battisti, è generalizzabile per tutto il comparto dei ristoranti italiani.
Provvedimenti a singhiozzo e ristori
Nonostante gli sforzi organizzativi e i risultati economici preoccupanti, lo chef milanese si dice pronto a sedersi ad un tavolo per proporre e ascoltare eventuali nuove misure, in modo da garantire ancora più sicurezza, per il personale e i clienti. «Se è necessario siamo pronti a studiare soluzioni ulteriori. Ma se, invece, un’alternativa non c’è, allora la chiusura deve essere secca. Basta con i giorni alterni e con i provvedimenti a singhiozzo. Basta con le promesse non mantenute».
Il tema dei ristori scalda ancora di più il tono dello chef milanese, che si fa imperativo: «Alla chiusura certa devono seguire ristori certi, adeguati e immediati, per ripartire, per poter continuare a imprendere, non solo per tamponare».
Riaprire, per non soffocare un comparto chiave del Paese
Per il medio-lungo periodo? Le previsioni non sono affatto rosee. «Il governo è stato distante dal nostro comparto, nonostante la ristorazione rappresenti il 10% del Pil e assorba più di un terzo della filiera agroalimentare e zootecnica italiana. Per non spingere al suicidio economico il settore e tutti i suoi attori ora è il momendo di parlare con chiarezza di come aprire i ristorante. E non di quando chiuderli».
Battisti non vede altra opzione che riaprire i ristoranti, visto che in Italia tutto, o quasi, ruota intorno al cibo. «La gente ha voglia di ritrovarsi a un tavolo, di socializzare, di essere coccolata, non solo di ricevere a casa il pasto trasportato. Il delivery può essere una diversificazione dell’offerta, non la normalità».
E come ultima motivazione in più per aprire c’è quella dei contagi, che i ristoranti aperti non contribuiscono ad aumentare. «Noi stiamo lavorando, quando ce lo concedono, con le misure igieniche dettate dal governo e dal Cts. Ma queste sembrano non bastare nonostante non sia dimostrato che con i locali aperti i contagi aumentino. Anzi, si sta verificando il contrario: siamo chiusi da un mese e la situazione epidemiologica non è migliorata. Allora in coscienza, occorre guardare i dati con più obiettività».