Non rassegnandoci alla consegna a casa, almeno sognamo ad occhi aperti. Ecco cinque tentazioni che vorremmo soddisfare il prima possibile.
La giostra dei colori – rosso, arancione, giallo, arancione, giallo rinforzato e forse bianco (!) – non ha ancora terminato di ruotare. È oscuro e fumoso come, dove e quando potranno riaprire bar e ristoranti. Il piacere di un aperitivo, la libertà di bere un caffè in una vera chìcchera (e non nella plastica usa e getta), il rito di un pranzo di lavoro con i colleghi, o la classica pizza-più-birra da condividere con gli amici: rimangono al momento desideri campati per aria, sogni che vorremmo che al più presto si avverassero. Ma che, ad oggi, possiamo vivere solo virtualmente.
Immaginiamo dove vorremmo andare
Non ci rassegnamo, però, all’impersonale delivery. Uno spaghetto allo scoglio riscaldato non è lo stesso di quando viene gustato in riva al mare. La pizza, ha dichiarato il filosofo Massimo Cacciari alla Stampa, non è altrettanto buona seduti sul divano di fronte a mamma tv che con gli amici in pizzeria. E allora, se in pizzeria non ci possiamo recare fisicamente, andiamoci almeno con il pensiero.
Ecco qui cinque ristoranti che non abbiamo ancora visitato, ma che vorremmo provare al più presto. Per verificare se le nostre aspettative, costruite in base a quanto riportato sulla stampa specializzata e alle nostre puntuali indagini, potranno essere corrisposte.
Primo: il ristorante con un solo tavolo
Se le cene fuori sono emozioni da condividere con pochi intimi, allora chi meglio di Grand Love Milano potrebbe rendere mirabile l’esperienza? Sì, perché il ristorante di via Lodovico il Moro 139, lungo il Naviglio Grande, è il primo a Milano a essere così piccolo e riservato da disporre di un solo tavolo.
La cena quindi è per un solo cliente, che può essere accompagnato da una fino a undici persone. Chissà che atmosfera magica deve essere quella che si respira nel locale ideato dallo chef italo argentino Carlos Valdes Ciampi? Una proposta di matrimonio, un accordo commerciale che deve a tutti i costi andare in porto, una romantica cena tra vip che non vogliono essere paparazzati: sono tante le occasioni per provare un locale così particolare. In una sala che ricorda l’arredo dell’Orient Express va in scena un menu all’italiana, che spazia dalla tartare di fassona e fonduta di erborinato, al risotto porcini e finferli al barolo, dal petto d’anatra al barbaresco, al pan di Spagna al cioccolato belga.
Secondo: i ravioli cinesi, ma alla milanese
Dopo i pranzi tradizionali natalizi, cambieremmo aria pur non allontanandoci troppo da Milano, e non solo fisicamente. Ghe Sem, in via Vincenzo Monti 26, a due passi dalla stazione Cadorna, è un bristrò meneghino che strizza l’occhio all’estremo oriente. Sembrano davvero invitanti i suoi dim sum, i ravioli tipici cinesi, serviti con italianissimi topping: olio evo, olio al limone e olio piccante.
I dim sum sono preparati con la tecnica e la ricetta classica che viene da Pechino, ma i ripieni sono golosamente del bel paese: dalla norma, all’ossobuco con zafferano, dalla capasanta con bacon, al cacio e pepe. Intriganti anche l’americano con manzo cheddar bacon e cipolla, il napoletano con salsiccia e friarielli, piuttosto che il trevigiano con zola e radicchio.
Terzo: la pizza alta, trancio e cascata di mozzarella
Un piatto che si trascura durante le feste natalizie, già sovrabbondanti di glucidi e lipidi, è la pizza. A maggior ragione quelle alte, soffici, abbondanti e trabordanti di mozzarella filante. Sarà anche nutrizionalmente sconsigliato, ma la voglia di trancio ci porta verso Da Giuliano in via Paolo Sarpi, dove c’è una delle più note pizzerie di Milano.
La ruota è alta e soffice, poco pomodorosa e particolarmente ricca di mozzarella. Croccante fuori e morbida dentro, ogni secondo che passa dal forno alla bocca fa venir meno questo apprezzabilissimo binomio. Da Giuliano c’è sempre posto, nelle sue sale dove abbonda il legno e la schietta cordialità di tutto lo staff. Ma allora quando riapre?
Quarto: il sapori delle dolomiti restando a Milano
Tra divieti e consigli, tra coprifuochi e chiusure di piste e hotel, quest’anno è saltata la settimana bianca in montagna. Ad oggi non sono previste aperture, la luce in fondo al tunnel è davvero fioca. Ma per gli amanti del cervo in umido, delle trote dei laghi trentini, della polenta abbrustolita e dei canederli al burro fuso, c’è una soluzione. Anzi ci sarebbe: basterebbe andare alla Taverna della Trisa in via Francesco Ferrucci, a due passi dalla sede Rai di corso Sempione.
Locale storico e sobrio, non ha mai ceduto sulla qualità e sulla tradizione della sua proposta. Tanto legno, cordialità dal tono vagamente asburgico, un menu bilingue (in trentino oltre che italiano) con spiegazioni e abbinamenti: sentiamo il desiderio di questa atmosfera d’altri tempi che contrasta tanto (troppo) con quella attuale. Dallo stufato di carni di cortile, ai formaggi di malga, dai bigoli alle quaglie, al filetto d’oca alle mele cotogne, fino allo strudel con mele renette e salsa di rabarbaro.
Quinto: tutto il bello e il buono delle verdure
Vorremmo che il maestro Pietro Leeman riaprisse le porte del suo ristorante Joia, in via Panfilo Castaldi 18. Primo ristorante vegetariano europeo a ricevere la stella Michelin, primo e unico tuttora in Italia, punta su una cucina minimal e creativa, leggera ed eterea. Difficile descrivere i piatti, hanno nomi che ricordano le fiabe di Rodari o quelle della tradizione norrena piuttosto che le portate da ristorante di lusso.
Vorremmo provare «Il pianeta verde» che lo chef svizzero aveva preparato per Natale, una versione vegetale del foie gras, insalata russa di mela renetta, pico de gallo all’ananas e cupola di verza; e la «Serendipity nel giardino dei miei sogni» ovvero gnocchi di patate, noci e salvia, panna di sedano rapa al tartufo, tempura di cavolino di Bruxelles. Chiuderemmo con Macondo, un pavé di cioccolato e arachidi, salsa di mango siciliano e salsa di Alchermes, pere delicatamente sciroppate. Da sogno. E sogno rimarrà sino alla riapertura.