Non siamo certo noi a scoprire La Brinca. La sua fama precedeva il nostro arrivo. Le aspettative erano alte, visti i premi e le menzioni d’onore ricevute: ciò rendeva difficile un approccio oggettivo e privo di condizionamenti. Ma pregiudizi e retro-pensieri si sono volatizzati appena seduti nella piccola e riservata veranda, accanto all’ingresso della storica trattoria.
Siamo a Campo di Ne, entroterra ligure del genovesato. Una stradina grossomodo asfaltata, decisamente tortuosa e malconcia. Curve, controcurve e strettoie precedono il pranzo, che sarà poi tutt’altro che difficile e arzigogolato. Al contrario, si offrirà semplice e lineare, essenziale ed emozionante.
A tavola la sensazione di benessere, di pienezza, di pace e armonia pervade gli occhi, il palato e l’animo. I sensi vengono allietati dalla rigogliosa vegetazione che avvolge il locale, dal minuscolo e romantico giardinetto adiacente, dalla veranda in legno, da quella interna con sguardo sulla valle, dalle centinaia di bottiglie di vini e distillati allineate come soldatini su mensole e scaffali di legno scuro, dalla bellezza antica del salone con il pianoforte.
I piatti sono un mix di moderno e antico, di raffinatezza e di semplicità. Nulla va storto, colori e sapori sono ubiquitariamente notevoli, ma il piatto per cui rifaremmo ad occhi chiusi il viaggio fino al bricco (da cui “la brinca) di Ne è quello degli antipasti di campagna. Un assaggio di storia e di territorio, semplice e diversificato pur nell’utilizzo di alimenti ultra locali. Ci sono i ravioli alla brace, che i bambini rubavano ancora crudi in cucina e mettevano sulla piastra di ghisa infuocata. E poi il prebugiun di Ne, piatto contadino di patate e cavolo nero che si differenza da quello classico ligure che è fatto di erbette selvatiche, le foglie di borragine in pastella e fritte, la Baciocca, torta di patate bianche e cipolle, la panella, ovvero castagnaccio salato aromatizzato con il finocchietto selvatico, la rustica farinata alle erbe aromatiche e la panissa di farina di ceci. C’è anche il seicentesco raviolo fritto, ripieno di erbette, ricotta, pinoli e uvetta, la primaverile torta di riso, i cui chicchi erano portati dalle mondine in cambio di olive; e infine le frisciulle o testaieu, impasto di acqua e farine cotte nei testetti di terracotta, conditi con un pesto da fine-del-mondo.
ravioli du tuccu focaccia fritta ravioli con salsa alle nocciole
Potrebbe anche bastare così. Ma se c’è ancora spazio nello stomaco e nel palato curioso si può assaggiare il Brandacujun, storico piatto di ponente, fatto di baccalà, patate, prezzemolo e olive, oppure i ravioli di erbette “cu Tuccu” (ragù genovese di manzo di Cabannina) o quelli con salsa di Nocciole. Non manca il tradizionale asado ligure, originario dell’immigrazione di ritorno dall’Argentina, nella variante della punta di vitello cotta al forno dopo essere stata in infusione aromatica per due giorni, e la cima alla genovese ripiena alle erbe.
Anche i dolci sono nel segno di una tradizione che è leggera e non sa affatto di antico. E via quindi con il brinchetto, semifreddo di creme, caffè e nocciole, il biancomangiare, crema di latte dell’appennino ligure, la torta al cioccolato e i gradevolissimi e profumatissimi sorbetti (leggi gelati) alla frutta di stagione. Applausi.
Fascia di prezzo: tre portate 45 €, bevande escluse
Ideale per: giovani che vogliono assaggiare i cibi poveri ma ricchi che mangiavano i loro nonni; adulti non globalizzati, amanti dei territori e delle diversità; anziani non nostalgici che apprezzano l’elaborazione moderna della cucina della campagna ligure