Oltre a ferrovie spettacolari, vitigni eroici e leggende Walser, le valli Ossolane custodiscono scrigni stracolmi di leccornie. A partire dal Bettelmatt, un piccolo gigante caseario.
L’ho conosciuto bene in una tiepida giornata d’autunno di tanti anni fa. È quel lembo di Piemonte lontano. Si incunea silenzioso tra le montagne umide, verso il Vallese svizzero. Sta a cavallo del Cusio e del Verbano, respirando gli sbuffi d’acqua dolce che risalgono dai laghi. Da sempre parlava – e parla ancora adesso – lombardo ma non lo vuole ammettere. Strizza l’occhio più a Milano che a Torino.
È la val d’Ossola: oltre all’interesse storico ed etnopolitico, questa zona è speciale per molteplici aspetti. Perché, ad esempio, vanta l’area selvaggia più vasta d’Italia (la Val Grande), una splendida strada ferrata a scartamento ridotto immersa nella natura (la Ferrovia Vigezzina) e una collana di sapori alpini di tutto rispetto.
Li ho assaggiati, sono prodotti veri, sensorialmente (e forse non solo) emozionanti. Come il pane Walser o Walserbrot del Forno Ossolano. È un vero gioiello di archeologia alimentare, profuma di storia oltre che di buono. È fatto con farina integrale di segale macinata a pietra, patate, lievito madre, grano saraceno, frumento macinato a pietra, miele. È il pane dei Walser, un antico popolo di montanari (mai nome fu più appropriato) che migrarono nel medioevo dalla zona dell’attuale cantone Vallese verso l’Ossola, il Ticino, il Monte Rosa e le zone limitrofe. Vivevano (sopravvivevano) in zone impervie grazie al sapiente ed eroico allevamento bovino, alla caseificazione, alla coltivazione di patate, segale e grano saraceno.
Rotolando verso Sud, a Santa Maria Maggiore, ecco il Prosciutto crudo vigezzino: un eccellente companatico, realizzato in una piccola bottega, dal nome non proprio accattivante: la Macelleria 4F.
Intestazione a parte, il crudo è una delizia. Stagionato 18 mesi in cantina, senza l’uso di celle frigorifere, ha un gusto caratterizzato dalla tipica miscela di spezie, erbe aromatiche, vino bianco e fumo da bacche di ginepro con cui viene a contatto durante la maturazione. E qui anche le papille gustative più sopite tenderanno a destarsi dal loro torpore.
L’offerta casearia sa dare anch’essa delle particolari soddisfazioni. Oltre al formaggio Ossolano Dop, al nostrano di Crodo, al Prunent e allo Spress (tutti acquistabili presso la Latteria Sociale Antigoriana), il vero protagonista è sua maestà il Bettelmatt. Della Rolls Royce dei formaggi si scriveva già nel XIII secolo, epoca della colonizzazione della popolazione Walser dell’alta Ossola. Già all’epoca era considerato un formaggio di eccellenza, usato come merce di scambio, per il pagamento di canoni d’affitto o di tasse. Il nome Bettelmatt deriva da Battel che significa questua, quindi era senz’altro utilizzato per forme di beneficenza, e da Matt, che in tedesco significa pascolo.
Il Bettelmatt ancora oggi è un sontuoso formaggio realizzato esclusivamente in alpeggio. È a latte crudo, morbido e attraente già con stagionature brevi. Diventa poi complesso, ampio e intenso con il procedere della maturazione. La sua vena amarognola, sigillo di garanzia, è delicata e gentile, una gioia per il palato. Le forme prodotte sull’alpe Forno dall’Azienda Agricola Albrun rispecchiano appieno queste imperdibili caratteristiche sensoriali.
Nella terra Ossolana non manca nemmeno la produzione enoica che, viste le pendenze e le rese quantitative, può definirsi, a ragione, eroica. Piccolissimi produttori allevano la vite a pergola per riuscire a rubare al cielo sino all’ultimo raggio di sole utile. La Casa Vinicola Garrone è il catalizzatore di questo arcipelago, di cui vale la pena assaggiare il buon Prunent. Tipico vino ossolano, la cui presenza in Ossola risale al XIV secolo, è prodotto dal vitigno omonimo, un clone del Nebbiolo. Ha buona struttura e un profumo gradevolmente ampio, dato dall’affinamento in botte per dodici mesi.
E dopo questa scorpacciata? Mi sono lasciato coccolare dalle tisane del Consorzio Erba Böna, che coltiva col metodo biologico una gamma variegata di erbe officinali provenienti dal solo territorio provinciale. Achillea, assenzio, calendula, genepì, genziana e molte altre, lavorate e trasformate in tisane, caramelle, amari, aromi e articoli per il benessere.
Per ricordare al naso il profumo delle montagne, dell’aria, dei prati e dei boschi di questo lontano angolo di Piemonte (lombardo).
Poscritto
A volte capita di rimanere estasiati da elementi tutt’altro che artefatti e articolati. Esempi? Un prato giallo di tarassaco in primavera, una risata fragorosa e contagiosa, o un tramonto indaco che abbraccia nuvole sottili.
Per questo mi sono arrovellato sul tema di come fa un biscotto di semplice pasta frolla – al secolo la Fugascìna di Mergozzo – ad essere così intenso, ricco, fragrante e persistente? È il segreto della ricetta tradizionale, oppure è la magica alchimia delle trasformazioni che avvengono nei forni?
Uova, burro, zucchero, farina, limone e marsala, impastati e stesi in una teglia bassa, assolutamente di ferro. Altezza della pasta: mezzo dito. Cottura e poi taglio manuale, in modo che ogni fugascìna sia unica nella sua forma. Anche se, forse, basta e avanza il gusto. Unico, appunto.