Dalla laurea in economia all’apertura di una ravioleria: questa la favola che racconta il successo del precursore dello street food cinese a Milano. Un pacatissimo genio, dal sorriso sincero e dai modi garbati.
Si era stufato di mangiare il solito cibo orientale, di dubbio livello, senz’anima e sempre uguale a se stesso. Così Agie Hujian Zhou se l’è fatto da solo. Aprendo a Milano la Ravioleria Sarpi, il primo locale di street food cinese di qualità. E ha “costretto” i vicini a seguirne le orme: dopo poco tempo, infatti, la zona di via Paolo Sarpi si è trasformata in un moderno food district, movimentato e accattivante.
Una (pacata) vita sempre in movimento
La gentilezza dei modi e la pacatezza serafica di Agie (pronuncia: Agè) non devono ingannare sul suo dinamismo umano e imprenditoriale. Il cino-milanesissimo, nato nello Zhejiang nel Sud Est della Cina, non ha ancora quarant’anni. Ma ha al suo attivo imprese, studi, viaggi che, anche solo metà, basterebbero a rendere interessante una vita intera.
«Sono arrivato a Milano nel 1996: – racconta Agie – ho preso il diploma allo scientifico e poi la laurea in Bocconi». Durante l’università non poteva certo studiare e basta… «Parallelamente al percorso universitario sono tornato in Cina, a Canton, dove ho lavorato per un’impresa di import-export. Erano gli anni d’oro per il commercio lungo la Via della Seta».
Poi torna in Europa, ma non in Italia. «Sono stato in Spagna per conseguire un master in Business Administration. E poi il ritorno a Milano. Al posto della seta ho scelto il cachemire come fulcro della mia prima attività imprenditoriale». Agie, che ama le sfide e i cambi di programma, non si mette a commerciare lana, bensì a disegnare e produrre capi di abbigliamento in collaborazione con piccoli stilisti. «Con giacche e maglioni a marchio “Campo di Grano” eravamo sul punto di ampliare l’attività, aprendo un secondo negozio, sempre in via Paolo Sarpi. Ma d’un tratto ho fatto una scelta diversa e un po’ pazza».
Dal cachemire alla ravioleria, nasce il primo street food cinese a Milano
Ma quel negozio di maglieria non aprì mai. O meglio, non aprì per la vendita di maglioni di cachemire. «Volevo cambiare, far qualcosa di buono, di piacevole, di nuovo. Oggi ci sono in zona Sarpi decine di fast e street food orientali. Ma nel 2015 non ce n’erano. Per questo nell’anno di Expo ho deciso di aprire una ravioleria. Con pochi piatti, cucinati espressi, da portare via o mangiare mentre si cammina nell’isola pedonale della zona”.
I cinesi apprezzano, gli italiani anche. I turisti pure. Nel giro di poco tempo la piccola ravioleria diventa un must imperdibile in città «Volevo un posto piccolo, piccolissimo, riservando ampio spazio alla ricerca degli ingredienti di qualità. Uso la carne biologica dello storico macellaio Walter Sirtori (ha il negozio a fianco, ndr), la farina bio del mulino Sobrino e delle Cascine Orsine, le uova comasche dell’azienda Bargero e le verdure a km zero di Corbari a Cernusco sul Naviglio. Uso solo prodotti freschi, anche perché ho scelto di non congelare nulla». Economicamente è una pazzia, un azzardo. O, voltando la medaglia, un’istintiva genialata. Ci vuole sicuramente coraggio per buttarsi in maniera così radicale sulla qualità, pur consapevole del fatto che la cucina cinese non godesse della fama di essere ricercata e di gran tono.
Eppure Agie lo fa, si butta. Il tutto per realizzare due soli prodotti: i ravioli e le crepes. I primi in tre versioni: ripieni di manzo e zenzero, maiale e verza o vegetariani. Le seconde, invece, sono ripiene di strisce di polpettone di manzo, in cottura uovo, porro, coriandolo e frittelle di pane. Tutti prodotti che sanno di buono, di casa, di piccantezza e sapidità poco note ai palati mediterranei. Ma che vengono accolti fraternamente da papille gustative in cerca di emozioni di spessore.
Gli inizi, le zie e le nove scodelle
Le cuoche sono state scelte con cura, racconta con ironia. «Ho iniziato con la“zia” Maria, una signora cinese che faceva la tata da un vicino di casa. Non aveva mai fatto la cuoca. A questa si è aggiunta un’altra Maria, questa volta milanese, che è diventata la seconda “zia”. Eravamo in tre in tutto, nessuno chef, ma tanta passione da vendere».
Tre persone sufficienti a sfornare i ravioli più cool della città. «Abbiamo in seguito raddoppiato gli spazi, utilizzando anche il negozio a fianco. E poi ancora abbiamo pensato di triplicarli aggiungendo una nuova location. Ma niente street, volevamo fare una locanda semplice, dove sedersi, per pranzi veloci e cene più strutturate. Pochi piatti che ruotavano, nove in tutto. E Nove scodelle è diventato proprio il nome del locale».
Anche questa è stata un sfida. Vinta. Il locale di viale Monza è abbordabile come prezzi, ma con una cucina tutt’altro che banale. Lo stile gastronomico è quello del Sichuan, Cina centrale, dove la cucina è profumata e piccante, speziata e colorata. Una cucina autentica e non inflazionata. Quando le “nostre” trattorie faticano a resistere e abbassano per sempre le serrande, il cinese più-milanese-che-c’è ne apre una originale e vincente. Anche se al posto di risotto e orecchiette, trippa e baccalà, ci sono spaghetti (tirati a mano con sesamo e pepe) e costine (con riso speziato e crema di zucca). La Cina è vicina. Più di quanto si creda.