L’avvocato Chiara Mantelli, esperta in Diritto societario e commerciale, analizza le possibili conseguenze per la società e i suoi vertici: in caso di condanna le pene previste dalla Legge sono molto severe.
In questi giorni, il mondo del calcio e della finanza sono stati colpiti dalla inaspettata notizia dell’indagine della Guardia di Finanza sui conti della Juventus Football Club S.p.A. negli anni 2019-2021 e che vede indagati il presidente Andrea Agnelli, il vicepresidente Pavel Nedved, l’Investor Relator Stefano Cerrato e l’ex Chief football officer Fabio Paratici.
La cronaca ha dato ampio spazio a tutti gli aggiornamenti sul caso. Resta però il dubbio su cosa rischino non solo la Juventus in termini sportivi, ma anche le persone coinvolte in termini civili e penali.
Ipotesi di reato e basi giuridiche
È la stessa Juventus Football Club S.p.A. a comunicare quali siano le violazioni ipotizzate dagli inquirenti, tramite un comunicato stampa, pubblicato sul proprio sito il 27 novembre, dove, oltre a prendere atto dell’avvio di indagini da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, precisa che l’oggetto degli approfondimenti sono i “Proventi da gestione diritti calciatori” iscritti nei bilanci al 30 giugno 2019, 2020 e 2021 per i reati di cui all’art. 2622 cod. civ. (False comunicazioni sociali delle società quotate) e all’art. 8 del D.Lgs. n. 74/2000 (Emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e, per quanto attiene alla responsabilità della Società, per l’illecito previsto dagli artt. 5 (Responsabilità dell’ente) e 25-ter (Reati societari) del D.Lgs. n. 231/2001.
Sempre la stessa Juventus Football Club S.p.A. sottolinea che la Società è attualmente soggetta ad una verifica ispettiva da parte della Consob, anch’essa avente ad oggetto la voce “Proventi da gestione diritti calciatori”.
Le pene previste dalla Legge? Severe
Detto questo, cosa prevede la Legge? Caso plusvalenze: cosa rischiano la Juve e i suoi manager? “La commissione del reato di false comunicazioni sociali da parte di amministratori (direttori generali, dirigenti preposti e sindaci) è punita severamente dal legislatore, tramite l’articolo 2622 del codice civile, che stabilisce la pena della reclusione da 3 a 8 anni.”, spiega l’avvocato Chiara Mantelli dello studio Lègister Avvocati, specializzata in Diritto societario e commerciale. Altrettanto significative sono le pene previste in caso di emissione o rilascio di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti: la reclusione da 4 a 8 anni.
Non è finita qui, perché ai sensi dell’articolo 154-ter, comma 7, del D. Lgs. n. 58/98, la Consob ha avviato un procedimento amministrativo e, nel caso in cui dovesse accertare che i documenti che compongono le relazioni finanziarie non siano conformi alle norme che ne disciplinano la redazione, può imporre agli emittenti di rendere pubblica tale circostanza e di provvedere alla pubblicazione delle informazioni supplementari necessarie a ripristinare una corretta informazione del mercato che porterebbero presumibilmente ad una perdita del valore del titolo della società in borsa.
Alle principali ipotesi di responsabilità di rilevanza penale paventate in capo ai Manager sopra citate, si potrebbero aggiungere ipotesi di responsabilità sul piano civilistico-societario tali da legittimare in primis l’azione sociale di responsabilità, laddove fossero effettivamente riscontrate irregolarità e/o mala gestio che abbiano inciso sul patrimonio sociale.
A corollario ne potrebbe discendere la possibilità per gli investitori di agire nei confronti della Società per ottenere il risarcimento del danno subito per aver confidato in quanto indicato in documenti poi risultati non corretti, con l’onere di provare il nesso eziologico e di quantificare il danno effettivamente subito.
La condotta dei Manager potrebbe, infine, rilevare quale antecedente logico-giuridico per la configurabilità della responsabilità amministrativa della Società che, in relazione al reato di cui all’art. 2622 c.c., è sanzionata, ai sensi dell’art. 25-ter c.1 b) del D.Lgs 231/2001, con una sanzione pecuniaria da 400 a 600 quote. Tenuto conto che l’art. 10 del D.Lgs. 231/2001 stabilisce che l’importo di una quota va da un minimo di € 258 ad un massimo di € 1.549, la sanzione in parola potrebbe aggirarsi tra circa € 100.000 e € 900.000. La sanzione può essere aumentato di un terzo qualora dall’illecito la Società abbia tratto un rilevante profitto. La Società potrebbe andare esente da responsabilità laddove dimostrasse di aver adottato e concretamente attuato un modello organizzativo idoneo a prevenire la commissione del reato contestato, onere probatorio non sempre facile da assolvere.
Plusvalenze, quando possono comportare l’esclusione dal campionato?
Il Codice di giustizia sportiva della Figc lascia parecchia discrezionalità al giudice in caso di accertamento dell’infrazione sulle plusvalenze, visto che si va dall’ammenda con diffida fino all’esclusione dal campionato. La mano pesante, però, è contemplata solo nel caso in cui l’eventuale illecito sia commesso al fine «di ottenere l’iscrizione a una competizione a cui non avrebbe potuto essere ammessa». E qui andiamo agli unici casi concreti finora realizzatisi, che sono quelli relativi al Chievo e Cesena, entrambe fallite poco dopo essere state travolte dallo scandalo delle plusvalenze gonfiate.
Calo del valore della società
La sola notizia dell’indagine ha fatto perdere il valore dell’azione in borsa, passata da 0,4606 euro, cifra della chiusura delle contrattazioni di venerdì 26 novembre, prima della notizia dell’indagine ai 4,098 della chiusura del 2.12.2021, con una capitalizzazione pari a 551.522.474 che è in pratica il valore complessivo della società, in calo considerevole rispetto ai mesi precedenti. Lato investitori, a maggio 2021 avevamo messo in luce il rischio di un investimento sulle società sportive e in caso di condanna della società il valore potrebbe scendere ulteriormente, facendo perdere moltissimo agli investitori che hanno deciso di investirci.
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