Il coccodrillo geniale di una lettrice appassionata che rende omaggio allo scrittore best seller scomparso all’età di 88 anni.
Addio Wilbur, grazie per il mal d’AfricaAvevo circa 13 anni quando ricevetti una soffiata: le scene erotiche spinte che erano vietate in televisione e al cinema potevano essere rievocate tranquillamente sotto gli occhi ignari di genitori e insegnanti accaparrandosi un apparentemente innocuo romanzo di Wilbur Smith.
Detto fatto. La sera stessa stringevo tra le mani il primo dei romanzi di un autore che avrebbe accompagnato tutta la mia adolescenza. Quel primo romanzo era “Un’aquila nel cielo” e ricordo di averlo scelto come oggi si sceglie un film invece di una serie su Netflix: non volevo impegnarmi in una saga, non sapevo come sarebbe andata la nostra relazione. Volevo, insomma, un libro da una botta e via. Oggi che Wilbur Smith se n’è andato – serenamente, dicono, a 88 anni mentre sonnecchiava sulla sua poltrona preferita a Cape Town – posso dire che è stata una delle migliori che abbia avuto, perché mi ha insegnato ad amare due cose destinate a regalarmi molte emozioni e qualche soddisfazione: le lingue e l’Africa.
Vorrei dire che mi ha insegnato ad amare anche l’avventura, ma poiché l’idea di affrontare, in una vita sola, tutte le prove che gli eroi e le eroine di Wilbur superavano a mani basse mi metteva addosso un’enorme stanchezza già allora, mi accontenterò di aggiungere che mi ha insegnato ad amare il romanzo d’avventura. Non avevo mai letto Salgari, pensavo che Stevenson fosse da sfigati brufolosi e non sapevo che un giorno avrei preso 30 e lode al mio primo esame grazie a una prova brillante proprio sul romanzo d’avventura inglese. Ma ho amato subito Wilbur Smith. Non solo perché riusciva a descrivere un rapporto sessuale con più enfasi dell’enciclopedia medica, ma per il suo amore sincero e profondo per una terra difficile come l’Africa. Un amore in grado di dargli una passione sincera nel raccontarla che ho poi ritrovato in pochissimi altri autori.
Studiare, a volte, è una fregatura e crescere anche di più. Se da una parte approfondire ciò che ami ti mette nelle condizioni di apprezzarlo di più, dall’altra finisce con il togliere un po’ di magia. Con il passare del tempo ho imparato a riconoscere la formula di un bestseller dalla copertina e i romanzi di Wilbur Smith hanno cominciato a svelare i loro punti deboli. Ma la nostalgia che sono sempre riusciti a creare i suoi romanzi africani, quella sorta di saudade per un continente che nemmeno sapevo se avrei mai visitato, è sempre riemersa, anno dopo anno, romanzo dopo romanzo. Perché Wilbur Smith è uno scrittore di bestseller. Una prolifica macchina da soldi che ha partorito 49 romanzi, tradotti in oltre 30 lingue, e venduto qualcosa come 140 milioni di copie. Ma Wilbur Smith è anche uno scrittore onesto, meticoloso e attento, capace di descrivere con precisione un fatto storico e di raccontare con dovizia di particolari un luogo reale perché quei fatti li conosceva e quei luoghi li amava.
Per questo, anche se ci sono sicuramente scrittori migliori di lui, autori che cambiano il corso della storia con il proprio impegno ai quali è dovuto tutto il rispetto che un popolo di non-lettori forse non sa neanche più dare, a Wilbur Smith dovrebbe andare la gratitudine di intere generazioni, che hanno imparato a immaginare, sognare e progettare avventure lontane leggendo i suoi romanzi. Di certo a lui va il mio grazie personale, perché inseguendo il sogno di vedere l’Africa dei Courtney sono arrivata così vicino alle stelle, ai miti e alla natura da avere voglia di mettermi a studiarli. E allora grazie Wilbur, riposa in pace. Stasera manderò un messaggio all’amica avventurosa che mi diede la soffiata quando eravamo piccole e insieme accenderemo una candela in tuo ricordo. La sua splenderà dal deserto africano, dove si trova adesso, forse, chissà, anche grazie a te.
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