Dalla mancanza di dialogo interno tra i democratici Usa, alla debolezza dell’Ue che si rifugia nei soliti vecchi sistemi di sanzione. Bruxelles poteva fare di più e avere anche un ruolo centrale: aiuti finanziari e rispetto degli accordi di Minsk. Ora però è tardi e la palla è in mano a Putin.
Il riconoscimento formale dell’indipendenza delle Repubbliche di Lugansk e del Donbass, non rappresentano una sorpresa.
La partita che si sta giocando attorno all’Ucraina, come più volte da noi sottolineato, non può finire senza un vincitore morale o politico.
Questa mossa strategica più che diplomatica, da parte di Mosca trova la sua origine in una serie di fattori – non tutti ad essa imputabili unilateralmente – che proveremo a delineare.
La nuova linea del Cremlino
Già nel consueto discorso agli organi federali dello scorso aprile, il presidente Vladimir Putin ha iniziato a dettare la nuova linea del Cremlino. Quasi un passaggio di consegne tra élites al comando (diplomatici e siloviki ),che nelle precedenti crisi si erano alternate o sovrapposte, senza mai di fatto scontrarsi.
In quel discorso come in quello per il riconoscimento dell’indipendenza delle nuove Repubbliche, due sono i punti focali: la distruzione ideologica del modello sovietico, con un ritorno ad un modello di Russia più simile a quello tardo imperiale; la ridefinizione di “response”, che torna ad essere asimmetrico e trasversale.
L’incapacità di trovare un dialogo (tra i democratici Usa)
L’evoluzione della crisi scaturisce proprio da questi due punti. E’ parso chiaro al Presidente russo l’inutilità di continuare sulla linea del dialogo, in quanto la posizione di Biden, più propenso ad una mediazione per non arrivare allo scontro e quindi accontentarsi della vittoria sulla “deterrenza”, sia stata messa in minoranza da chi ha voluto seguire la linea più rigida del partito mettendo in prima linea la posizione di Anthony Blinken, diplomatico sì ma intransigente.
Proprio il rimbalzarsi del dialogo ha di fatto salire le quotazioni interne di chi voleva intervenire, vanificando il lavoro diplomatico “chirurgico” di Sergej Lavrov, ministro degli esteri russo.
La debolezza dell’Ue
La responsabilità però è da condividere con la debolezza europea nell’organizzare un’architettura di politica estera generale molto frammentata. Gli interessi dei singoli e le debolezze delle coalizioni nazionali, hanno dettato un’agenda sul dialogo senza contenuti narrativi concreti.
In molti adesso ci si chiede se una maggiore pressione su Kiev, affinché accettasse una sorta di condizionalità tra aiuti finanziari e implementazione degli accordi di Minsk, non avrebbe diplomaticamente messo in una posizione “win-win” tutte le parti in causa e salvaguardato l’integrità di un Paese.
Le sanzioni di Bruxelles
Consapevolezza dell’errore che si percepisce dal pacchetto di sanzioni discusso a Bruxelles, dove questo da strumento di deterrenza e “redenzione” è divenuto meno efficace della retorica che lo circonda.
In questa lunga giornata di riflessione ed analisi, l’unica certezza che resta è quella di un’Ucraina molto simile alla capra nel gioco afghano del Buzshkashí, dove la carcassa dell’animale viene trascinata da un lato all’altro del capo dai contendenti, ma alla fine della partita ne rimane solo un brandello di ossa dilaniato dai colpi.