L’attacco russo avrà ripercussioni anche nel Vecchio Continente? La polveriera nei Balcani potrebbe esplodere grazie all’influenza di Mosca sul mondo serbo. Intanto le Nazioni Unite rafforzano il contingente
Dal 24 febbraio scorso stiamo assistendo ad una multi-trasformazione delle operazioni militari in corso in Ucraina: da Blitzkrieg a guerra di attrito.
Questa evoluzione non ha di certo lasciato indifferenti l’élite dei siloviki che, a differenza di quanto si vorrebbe credere, spingono per un’azione più incisiva e corale sul campo.
I russi cercano di uscire dalla prima fase (fallita)
Infatti, dopo la prima fase di accuse reciproche tra i vari comparti della difesa e dell’intelligence, le responsabilità per il presunto fallimento della fase 1 sono ricadute sul quinto dipartimento del servizio del FSB (il servizio federale per la sicurezza della Federazione russa).
Accusa principale quella di aver disinformato il presidente Putin sullo scenario che i militari si sarebbero trovati di fronte una volta partita l’operazione militare speciale.
Superata – per ora – questa fase, ci si chiede, considerati gli esiti sul campo, quali siano le sensazioni dell’élite militare e quale il futuro dello stesso: ridimensionamento o guerra totale?
Porre dei limiti agli obiettivi iniziali sarebbe un errore fatale
Se la prima reazione potrebbe essere quella di propendere per un assetto più minimalista, analisi e comportamenti di ufficiali e funzionari ci portano verso un’altra direzione.
I siloviki infatti si sentirebbero fortemente motivati a sottolineare come il porre dei limiti agli obiettivi iniziali sarebbe un errore strategico fatale per il destino del Paese.
Secondo questi infatti lo scontro retorico e militare avrebbe verticalmente cambiato soggetto quando il blocco Nato avrebbe deciso di supportare deliberatamente Kiev – non ultimo il Lend Leas Act firmato da Biden.
Inizia il dissenso dell’intelligence verso la leadership
Questa situazione starebbe generando un senso di frustrazione tale da trasformarsi in una forma di dissenso pubblico verso la leadership.
Attraverso una serie di commenti e discussioni sui vari canali Tlegram riconducibili a settori militari e dell’intelligence, gli stessi si starebbero ponendo il quesito – lanciandolo anche in direzione del Presidente – se non fosse il caso di combattere sul serio anziché “giocare”.
Questo ed altri fattori ci portano a pensare come i falchi all’interno della leadership del Paese si stiano compattando ed in un certo senso distanziando dalle ultime scelte di Putin.
Per il cambio di rotta ci vuole ancora tempo
Ma se un cambio di orientamento sul campo – allo stato dell’arte attuale – richiederà ulteriore tempo e risorse, Mosca potrebbe in un certo qual modo rompere il fronte europeo attraverso lo strumento del “divide et impera”.
È noto, come avevamo già descritto qualche mese fa su queste pagine, che la situazione nei Balcani non fosse delle più stabili.
La strategia del dividi et impera: la situazione nei Balcani
Venti di secessione spirano sulla Bosnia, con l’entità serba della Republika Srpska che spinge più per una sorta di indipendenza che per una maggiore autonomia – già in parte garantita dagli accordi di Dayton.
Se una sorta di calma apparente sembra essere calata sulla questione, questo non si può dire sui toni che hanno portato alla riconferma alla presidenza di Aleksander Vučic.
In Serbia rivince il nazionalismo
Per vincere ha costruito una campagna elettorale su vecchie retoriche nazionaliste e poco filo europee ma soprattutto con alleanze molto discutibili.
Vučic ha sempre tenuto una posizione ambigua con i rapporti internazionali, una porta aperta all’UE, una fratellanza con Mosca ed uno sguardo ammiccante verso Pechino.
La scelta di non chiudere i sui cieli e di non accodarsi alle sanzioni vanno lette piú in chiave interna che estera, i ricordi delle bombe NATO su Belgrado e le ferite lasciate nella memoria della popolazione sono ancora aperte.
L’operazione in Ucraina potrebbe far saltare gli equilibri nei Balcani
Difficilmente però, nonostante la retorica della grande Serbia con il pensiero al Kosovo, il presidente serbo si presterebbe adesso ad un’azione diversiva per aiutare il Cremlino.
Questa però potrebbe arrivare proprio da Banja Luka, la capitale de facto dell’entità serba di BiH (Bosnia Erzegovina).
Mirolad Dodik, già presidente della BiH, da sempre molto vicino a Mosca, è stato sanzionato in questi mesi da Stati Uniti e Regno Unito, per il “suo atteggiamento minatorio nei confronti della pace ed integrità territoriale della Bosnia”.
La tensione sul territorio aumenta
Questo, unitamente alle tensioni con l’entità croata, sarebbe un terreno perfetto per innestare il seme dell’instabilità ai poco stabili accordi di Dayton e provocare una situazione al limite del conflitto.
Che una miscela esplosiva sia pronta a detonare si percepisce dall’invio di un ulteriore contingente di forze di interposizione e dalla preoccupazione dell’Alto rappresentante per la Bosnia ed Erzegovina, Christian Schmidt. Bisognerà vedere se il detonatore non sia di marca russa.