Chiudete gli occhi e pensate alla vostra routine, al vostro caffè mattutino, allo zaino di vostro figlio, la scuola, il lavoro, ai viaggi, alle feste in famiglia. Immaginate che tutto questo vi venga tolto da un momento all’altro. No, non si tratta di un nuovo dpcm, questa è la storia di chi ha sfidato la pazienza dei narcotrafficanti i quali brandiscono la propria egemonia a suon di proiettile e gesti eclatanti di violenza come monito “didattico”.
Incontriamo Lydia, madre e moglie che per delle fortunatissime quanto rare circostante, riesce, insieme al figlio Luca di otto anni, a sopravvivere alla mattanza della proprio famiglia nel corso di una apparentemente tranquilla festa di compleanno.
L’angolo del bagno della casa materna ha salvato loro la vita. Fuori però, sedici corpi giacciono senza vita e tra questi quello di Sebastian, suo marito, giornalista esperto del narcotraffico che ha versato una goccia di inchiostro di troppo sul jefe (capo), ossia colui che al momento presiede il comando del cartello dei Jardineros.
Siamo in Messico, patria di nascos e cartelli del narcotraffico
Ad Acapulco, così come ormai in gran parte delle città del Messico, la corruzione scorre in maniera capillare garantendo la fedeltà di ogni angolo del territorio ai cartelli del narcotraffico.
Lydia lo sa e sa che nessuna indagine verrà avviata per perseguire la giustizia che la sua perdita merita e sa anche di essere in pericolo insieme al figlio Luca, ultimi superstiti della famiglia.
E’ necessario pensare in fretta, allontanarsi e rinunciare alla propria identità, alla normalità della vita di prima, che è rimasta ormai accasciata accanto ai corpi senza vita dei propri cari nel cortile di casa dell’abuela (la nonna).
Lasciare il paese per sopravvivere
La soluzione è arrivare nel norte, ossia dagli Stati Uniti, dove poter cominciare una vita nuova e concedersi di affrontare il lutto. Il viaggio sembra semplice, i soldi ci sono, l’aeroporto anche.
Non funziona così: lasciare il paese non è così semplice, è necessario esibire dei documenti che li esporrebbero ai balcones, ossia alle vedette dei narcos che sono ovunque, anche al banco di un banale check-in in aeroporto. Perciò, che fare?
Il tren de la muerte
Non esiste alcun mezzo alternativo per arrivare e superare la frontiera, ed è questo che porta i due protagonisti dallo status di fuggitivi viaggiatori a migrantes. La soluzione è il tren de la muerte, la Bestia: treni merce che attraversano l’America Centrale per esportare materie prime, le uniche ad avere accesso facile negli Estados Unidos.
Non resta che rischiare, cercare di prendere quei treni e mimetizzarsi tra migliaia di migranti che sfidano le difficoltà di un viaggio privo di certezze e pieno di pericoli. In fondo però, alle spalle ci si lascia pericoli ben più grandi.
La tratta che porta verso la nuova vita è lastricata di imprevisti, disagi, di violenza, di finti poliziotti che rapiscono i migranti per poter estorcere somme di denaro, di abusi, ma anche di volti che hanno nomi e storie alle spalle, di solidarietà e supporto ma soprattutto di fede: senza la convinzione di riuscire nell’impresa non c’è coyote che tenga.
Professione Coyote
Coyote, esatto, perché il flusso migratorio, ha dato vita a varie professioni oltre a quelle dei corrotti full time. I coyote sono coloro che conoscono esattamente la rotta nel deserto che può condurre oltre il confine statunitense senza il rischio di incappare nella polizia e quindi nella deportazione al punto di partenza.
I coyote si fanno pagare profumatamente e allo stesso tempo sanno come gestire i “costi fissi”, ossia le mazzette che sono in grado di bendare gli occhi come per magia a polizia e narcotrafficanti al loro passaggio.
Solo dopo una lunga tratta nel deserto la bandiera USA sventolerà indicando che forse ce l’hai fatta, che forse sei al sicuro e che troverai un tuo posto nel mondo.
Uno schiaffo di realtà dal Sud America
Jeanine Cummins attraverso il suo romanzo, aiuta a rendere in volti, storie, voci ed esperienze disumane, quella che è di solito una massa informe di miseria che ci appare lontana e indistinta nella luce di uno schermo mentre distrattamente sbocconcelliamo un telegiornale nel sottofondo delle nostre vite privilegiate.
Per chi non fosse a conoscenza del fatto che, per i migranti dal Sud America non ci siano altri mezzi che i treni merci presi al volo, col rischio di finire sotto le ruote di quel treno e restare mutilati per conquistarsi il diritto a una nuova vita, questo libro rappresenta un’ottima occasione per approfondire e capire una realtà che ancora riecheggia nelle cronache.
Un saliscendi di emozioni che accompagna verso una realtà terribile
La scrittrice innesca uno stato di tensione nel lettore sin dalla prima pagina, dalla sparatoria ai continui pericoli incontrati da madre e figlio durante la traversata. In un continuo saliscendi di emozioni, il lettore ha tempo per realizzare e mettere a fuoco il contesto sociale permeato di violenza corruzione, ma anche rassegnazione come quella delle donne, per le quali è praticamente certo che sul proprio percorso incontreranno violenza e abusi senza diritto di replica.
La storia delle persone che abbandonano il proprio paese sul tetto di un treno merci preso al volo come passeggeri indesiderati, è uno schiaffo in faccia che defibrilla i sensi nel confronti di una situazione accettata da vittime e carnefici. L’essere indesiderati poi, resta uno status costante anche nel nuovo mondo perché una volta arrivati negli USA, non è detto che, seppur a distanza di anni non si venga deportati e rimandati al mittente.
La protagonista nella sua vita borghese possedeva una libreria e sorseggiava caffè col Jefe dei Jardineros, ancora inconsapevole della sua vera identità, ci insegna l’abitare l’incertezza, ci insinua un dubbio in quella bolla di certezza data dalle nostre case, la morbidezza dei nostri cuscini, il cibo sano e la palestra due volte a settimana, e porta a chiedersi: “ma io ci saprei salire su un treno in corsa, che scappa da me insieme alla promessa di una vita al sicuro?”