Può il corpo essere la prigione dell’anima? Può la bellezza segnare il destino di due generazioni di donne? A chi appartiene davvero il corpo di una donna? In un mondo dove le donne seguono consigli di chi dice loro quale sia l’aspetto migliore da esporre, Malavita, scritto da Giankarim De Caro ed edito da Navarra Editore, ci fa riflettere su quanto la bellezza possa essere anche una fonte di schiavitù.
Malavita, il romanzo d’esordio di Giankarim De Caro, edito da Navarra Editore ci accompagna tra la pigrizia e l’arroganza della nobiltà di Palermo nei primi anni del Novecento. Un’epoca in cui i nobili siciliani sollazzano i propri desideri, abituati a ottenere col denaro qualsiasi cosa attragga i loro occhi.
È in questo contesto che il conte Manfredi si accorge di Lucia, giovane figlia della lavandaia di palazzo, arrogandosi il diritto di disporre della sua compagnia in virtù della sua posizione e della dipendenza della ragazza e della madre dalle sue decisioni.
La mancanza di opzioni
La condizione della madre della donna non regala molte opzioni, e così Lucia si ritroverà a diventare donna da un momento all’altro, segnando il proprio destino e non solo. La sua avvenenza è talmente dirompente da superare ampiamente la consapevolezza o padronanza della giovane.
La ragazza finirà così per diventare oggetto di contese, di gelosie e del desiderio delle persone sbagliate che disporranno del suo futuro avviandola inevitabilmente a procurarsi da vivere vendendo il proprio corpo. Nessuno degli eventi che la coinvolgono, dal matrimonio alle future gravidanze, verrà deciso da lei direttamente. E questo sarà il tratto distintivo di un disegno marcato da violenza, privazione e sottomissione per lei e le sue figlie.
La prepotenza maschile
Oltre a Lucia altre donne, Provvidenza, Pipina e Grazia, verranno ostacolate da figure maschili prepotenti. Solo una di loro sarà in grado di riscattarsi e di fare un salto di qualità in nome dell’amore per i propri figli.
Il romanzo si svolge nell’arco temporale che va dai primi del Novecento al secondo dopoguerra. Ed è scandito da scenari in evoluzione: l’avvento e la sconfitta del fascismo, gli orrori della guerra e l’arrivo degli alleati.
Cambiamenti storici che inciampano in una mentalità ottusa e patriarcale che non perdona gli errori delle donne, ma che tace davanti ai soprusi e alle violenze maschili. Una struttura sociale nella quale non esiste la solidarietà tra le donne, dove i pettegolezzi si susseguono e dove nemmeno la Chiesa è incorruttibile e immune dalle tentazioni.
Un linguaggio che cattura il lettore
Giankarim De Carodescrive uno scenario duro, spoglio da ogni forma di pietà umana o di gesti di affetto, ma lo fa con un linguaggio delicato, poetico, coinvolgente in grado di tenere in pugno l’attenzione del lettore senza mai cedere a termini volgari. Nemmeno per descrivere i momenti più squallidi.
La scrittura dell’autore è rispettosa dell’universo femminile, priva di giudizio, colpisce come un pugno nello stomaco e rende impossibile non immedesimarsi nella vita delle donne descritte. La lettura di questo libro è caratterizzata da un saliscendi emozionale, da fiato sospeso e lacrime che esplodono senza che il lettore possa fare nulla per trattenerle.
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