Il critico cinematografico spiega il perché del calo di spettatori: “Serve un cambio di mentalità, troppe vecchie logiche da superare”. David di Donatello? “Premi azzeccati”.
“Il cinema in Italia? Non sta tanto bene, già. Ma la colpa non è tutta della pandemia. E neanche di Netflix”. Paolo Mereghetti, milanese, classe 1949 è il più famoso critico cinematografico italiano. Dal 1993 firma il mitico dizionario dei film che porta il suo cognome, “il Mereghetti” per l’appunto. E come presentazione basta e avanza.
Mereghetti, allora di che malattia soffre il nostro cinema?
Soffre di pigrizia, mancanza di visione innovativa. Serve un cambio di logiche e di mentalità, e mi riferisco soprattutto a distribuzione ed esercenti.
Si parla della crisi delle sale cinematografiche, ovviamente. Perché i film continuano ad essere prodotti, anche se ultimamente la qualità non è delle migliori, ma il problema è che i film non arrivano al pubblico. Un pericoloso cortocircuito.
Quel meno 70% di incassi ai botteghini rispetto al 2019 la dice lunga.
Certo, c’è stata la pandemia che ha penalizzato tutto il settore. E il Covid non è scomparso. La mascherina? Non è quello il problema, si porta sugli autobus, mettiamola anche al cinema ancora per un po’.
Il fatto vero è che la gente, soprattutto quella non più giovane, ha paura, si è disabituata, si sente più sicura a casa.
Si è creata una frattura: i ragazzi al cinema ci vanno vanno ma solo per Spiderman o Batman. Mentre gli adulti, i cinefili che un tempo affollavano le sale per i film d’essai o le rassegne, fanno più fatica a uscire di casa.
Ma tutti guardano ormai film e serie sul divano.
E’ un dato di fatto. Ma non demonizziamole, le piattaforme. Il cinema è meglio in sala, d’accordo. Ma visti i tempi la concorrenza è inevitabile.
In Francia è tutto diverso. Qui spesso quando un film arriva in sala è già stato bruciato da Netflix, Amazon Prime e Sky.
In Francia l’industria e l’offerta cinematografiche sono cose serie, e infatti mica hanno il calo si spettatori che c’è da noi.
Il ministro Franceschini sta lavorando a una legge che aiuti le sale, con un sistema di finestre che non sia solo a vantaggio delle piattaforme.
E’ necessaria. Ma basta lamentarsi, piuttosto impariamo la lezione: le grandi piattaforme sanno come conquistarsi il pubblico, con pubblicità e marketing che le vecchie sale se li sognano. Il pubblico va riconquistato. Serve una promozione vera, e troppo poco sta facendo il mondo del cinema. Nulla piove dal cielo.
Già, ma come uscire dalla crisi?
Quando parla di un cambio di mentalità, penso alla distribuzione che è ferma a interessi economici e a vecchie logiche che danneggiano le sale cinematografiche.
Quanto agli esercenti, che pure hanno avuto grossi problemi con i vari lockdown, e che però i risarcimenti se li sono presi, devono capire che non possono pensare di tornare ai bei tempi del pre-pandemia senza uno sforzo.
Il pubblico va attirato in sala con iniziative varie, come l’invito di registi e attori in occasione delle proiezioni, offrendo qualcosa di più della semplice visione della pellicola.
E poi serve qualità, oggi gran parte dell’offerta è cinema straniero. In Italia poi c’è poca promozione: escono film, magari anche belli, ma la gente non lo sa. O escono nelle sale per tre giorni solo per farsi pubblicità e sbarcare sulle piattaforme.
Eppure, nei recenti David di Donatello il cinema italiano è sembrato in grande ripresa.
Sì, è stata finalmente una bella edizione, e non lo dico solo perché sono tra i giurati. Tutto giusto: il ritorno a Cinecittà, i premi per miglior regia e miglior film a Paolo Sorrentino (ma non chiamatela una rivalsa per l’Oscar mancato). I riconoscimenti a Giuseppe Tornatore per “Ennio”.
I premi tecnici (e bastano quelli) per Freaks Out di Gabriele Mainetti. E sono contento per gli attori: il bravissimo Silvio Orlando di “Ariaferma” e la giovanissima outsider Swamy Rotolo per “A Chiara” di Carpignano.
Grandi anche Teresa Saponangelo e Eduardo Scarpetta per i non protagonisti. Direi che non è stato un David scontato, i premi tra esordienti e non sono stati ben distribuiti. Il che ci fa ben sperare.
Dunque non tutto è perduto?
No, non tutto, ma ripeto: il cinema italiano ha bisogno di idee e teste pensanti oltre che di soldi e contributi. Se si producono auto ma poi non si costruiscono le strade, dove si va?
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