Atteso il discorso del Presidente russo alla parata nazionale. I complottisti pensano ad un colpo di mano dell’establishment. C’è chi ipotizza l’annuncio ufficialmente della guerra. La teoria più probabile è che voglia espugnare le acciaierie Azovstal per proclamare il successo delle operazioni di denazificazione. Paradossalmente, se così fosse, il conflitto potrebbe durare ancora per molto tempo.
Nel nostro ultimo contributo sul conflitto russo-ucraino ci eravamo soffermati sull’analisi di scenari e conseguenze collegati a due eventi: il cambio al comando di campo russo, con l’arrivo del Gen. Dvornikov e le celebrazioni – prossime – per la “Giornata della Vittoria”.
A distanza di un mese da quelle riflessioni e a pochi giorni della data emblematica del 9 maggio, molti sono gli scenari politico-strategici che si potrebbero prefigurare, soprattutto sul fronte russo.
Di cosa parlerà Putin alla parata del 9 maggio?
Il riassetto delle forze regolari di Mosca ha modificato la geografia dello scontro, riducendo anche il numero delle perdite militari russe, se non si considera l’episodio dell’incrociatore Moskva. Dall’altro lato però la riorganizzazione tattica e strategica non ha portato quella rapidità che avrebbe dovuto condurre ad un avanzamento territoriale nel Donbass.
Da qui l’interrogativo che molti osservatori si pongono è: dove ci porterà il discorso del presidente Putin durante la parata? Innalzamento dello scontro, o annuncio di una vittoria – ideologica.
La teoria del complotto contro Putin (poco realistica)
In questi giorni continua a farsi strada una teoria – complottistica – più che un’ipotesi reale, quella della terza via cioè di un colpo di mano ordito contro Vladimir Putin da ex ufficiali e funzionari dei servizi di sicurezza scontenti della decisione del 24 febbraio, l’attacco militare.
Come già sottolineato su queste pagine, noi tendiamo ad escludere questa ipotesi in quanto in primo luogo creerebbe una frattura incolmabile nell’élite dei Siloviki (gli uomini forti al governo) portando a destabilizzare il Paese.
Un colpo di mano avrebbe bisogno del consenso della popolazione che nello scenario russo è poco incline ad operazioni simili. La stessa ascesa al potere dell’attuale presidente fu proposta come una transizione necessaria.
Putin potrebbe per la prima volta parlare di guerra (improbabile)
Uno scenario teoricamente e tecnicamente realistico è quello – anche questo – annunciato da fonti occidentali – di una dichiarazione di guerra aperta e non più sotto il nome di operazione militare speciale, attraverso la mobilitazione generale.
A nostro avviso, una mobilitazione generale a livello Federale non sarebbe possibile. Richiederebbe equipaggiamento e risorse per molte centinaia di migliaia di riservisti difficilmente reperibili in un arco di tempo ristretto.
In secondo luogo la mobilitazione sposterebbe un’ingente numero di forza lavoro dall’industria – anche bellica – già in difficoltà a causa delle congetture internazionali.
E’ possibile una mobilitazione parziale
Una soluzione più plausibile è quella di una mobilitazione parziale che comprenda due categorie specifiche: riservisti e arruolabili delle Oblast’ (suddivisione territoriale di primo livello) al confine con l’Ucraina – maggiormente colpiti da razzi ed incursioni delle forze di Kiev; riservisti appena congedati che sono ancora fuori dal mercato del lavoro.
Parliamo di un contingente stimato in circa 200.000 unità che andrebbero a rinforzare i battaglioni delle autoproclamatesi repubbliche del Lugansk e Donetsk.
Putin potrebbe annunciare la vittoria
Un’altra aspettativa del discorso sulla piazza Rossa, potrebbe essere quello dell’annuncio della vittoria – proprio in concomitanza con la festa. Questa troverebbe il suo fondamento con l’annientamento del battaglione Azov asserragliato nelle acciaierie Azovstal di Mariupol.
Ovviamente la vittoria qui sarebbe simbolica, ed andrebbe a collegarsi con la narrativa del Cremlino di squadre di nazisti all’interno del potere politico Ucraino.
Resa e sconfitta non sono contemplate
Quest’ultimo scenario ovviamente non chiuderebbe il conflitto ma lo trascinerebbe in un tempo indeterminato attraverso una ricomposizione dello stesso, amplificando nel tempo il rischio di un incidente che potrebbe portare all’escalation. La resa e la sconfitta non è contemplata nella visione russa.
La primavera del 1986 (Chernobyl) ha portato con sé nubi – tossiche – e paure provenienti da quei territori da dove oggi si combatte. A distanza di trentasei anni, partendo da quelle stesse terre, altre sono le paure e le pressioni che ci angosciano ed iniziano con la G.
(Nota della redazione: Vincent Ligorio vive ancora a Mosca dove risiede la sua famiglia e dove continua a lavorare come professore universitario e analista politico)