Al centro di Milano si può ammirare l’affresco solenne del grande genio italiano. Un’opera fragilissima, ma capace di resistere miracolosamente da 600 anni.
Il suo fascino e la sua storia sono stati rilanciati dal romanzo “Il codice da Vinci” di Dan Brown, che ha appassionato milioni di lettori in tutto il mondo. Ma anche senza questo ulteriore “assist” letterario, L’ultima cena di Leonardo da Vinci, realizzata tra il 1494 e il 1498 su una parete del refettorio del convento dei Domenicani di Santa Maria delle Grazie, rappresenta uno dei dipinti più celebri al mondo e una delle tappe obbligate da mettere in agenda durante un soggiorno a Milano.
Un’opera che lascia senza fiato
Il capolavoro di Leonardo, che raffigura la cena nel corso della quale Gesù annuncia ai suoi discepoli che uno di loro lo tradirà prima dell’alba, è infatti la pittura religiosa più riprodotta di tutti i tempi. E ammirare dal vivo il dipinto lascia letteralmente senza fiato non solo per le dimensioni enormi, 880 centimetri di larghezza e 460 centimetri di altezza, ma anche per la prospettiva unica attraverso cui l’artista è riuscito a rendere la solennità di un evento narrato in tutti e quattro i Vangeli.
Un’opera fragilissima, ma immortale
Commissionata da Ludovico Sforza duca di Milano, detto il Moro, l’opera ha conservato una bellezza e un fascino ineguagliati nonostante fin dal Cinquecento abbia cominciato a mostrare i segni del tempo. Per realizzarla, infatti, Leonardo decise di non utilizzare la tecnica “a fresco” che avrebbe garantito la miglior conservazione dei colori, preferendo lavorare con tempera su intonaco asciutto.
Una scelta che mostrò ben presto le conseguenze. La prima crepa, nella parte in basso a sinistra del dipinto, si manifestò infatti non appena l’artista ebbe finito il suo lavoro.
Una storia di restauro
Da lì in poi, la storia dell’Ultima cena è stata costellata di interventi di recupero più o meno felici. L’ultimo si è concluso nel 1999 dopo 22 anni di lavori condotti con le più aggiornate metodologie scientifiche, che hanno consentito di recuperare le originali stesure di colore grazie a quello che ancora oggi è uno dei più grandi progetti di restauro mai tentati su un’opera d’arte.
Per vedere L’ultima cena è infatti necessario prenotare in anticipo i biglietti, telefonando al numero 02.92800360 o acquistandoli online attraverso il sito www.cenacolovinciano.net.
Santa Maria delle Grazie
Nota soprattutto per la presenza del Cenacolo vinciano, la chiesa di Santa Maria delle Grazie è in realtà uno dei monumenti più suggestivi del Rinascimento lombardo. La chiesa a guardarla sembra divisa in due e in effetti una ragione c’è.
La congregazione dei frati domenicani, che aveva ricevuto in dono il terreno su cui sarebbe sorto l’edificio, commissionò all’architetto Guiniforte Solari la realizzazione di un convento.
I lavori iniziarono nel 1463 e si conclusero nel 1469, con la realizzazione di un concento che si articolava intorno a tre grandi chiostri. Contemporaneamente aveva preso il via la costruzione della basilica, il cui completamento richiese però molti più anni.
L’affidamento a Bramante
Accadde così che Ludovico Sforza, detto il Moro, pochi anni dopo il completamento della chiesa decise di farne il mausoleo di famiglia e il luogo di sepoltura della moglie Beatrice d’Este, morta giovanissima nel 1497. Affidò i lavori a Donato Bramante chiedendogli di abbattere la struttura esistente e di realizzarne una di forme più geometriche e serene.
Il Bramante decise però di abbattere solo la facciata e l’abside, mantenendo le navate laterali in stile gotico. Pochi anni dopo, Ludovico il Moro fu deposto, la chiesa si ritrovò così con un mix di stile rinascimentale e gotico.
Oggi una visita alla basilica è d’obbligo, soprattutto per chi cerca un attimo di tranquillità dal caos del centro di Milano. Al di là della bellezza dell’edificio e delle sue cappelle, il chiostro raggiungibile dalla porticina alla sinistra dell’altare è infatti il luogo ideale per rilassarsi e prendere fiato. Un vero angolo di paradiso.
Leggi anche la recensione de L’Ombra di Caterina