I produttori di vino, ancora una volta, sono rimasti soli, senza concreti e spendibili aiuti, anche se all’apparenza non sembra essere così. I consumatori, che avrebbero invece potuto avere nel bicchiere qualcosa di unico dal punto di vista della qualità del prodotto, rischiano invece di essere ingannati. L’Italia quindi non sembra uscirne proprio bene, soprattutto per come alla fine (non) tutela e (non) aiuta il mercato vitivinicolo.
L’obiettivo del Decreto rilancio per il mercato vitivinicolo? La qualità.
Il Decreto rilancio, che è stato convertito in legge con modifiche il 17 luglio 2020, ha una buona idea, che parte innanzitutto dalla qualità del prodotto. Concretamente, l’obiettivo è quello di aiutare i produttori stanziando cento milioni di euro, qualora questi dovessero attuare la vendemmia verde parziale in misura del 15%, cioè tagliare i grappoli dalla pianta prima che arrivino a maturazione, di modo che quelli rimasti possano beneficiare di un maggiore nutrimento. L’intenzione è quella di migliorare la qualità dell’uva e, al contempo, contenerne la produzione al fine di equilibrare un eccesso di offerta a causa delle mancate vendite/aumento delle giacenze in cantina conseguenti al Covid-19.
A tal proposito lo schema del Decreto rilancio ritiene che tale misura dovrebbe rappresentare “un ottimo biglietto da visita in termini di serietà, trasparenza e garanzia di qualità del vino italiano, soprattutto nei confronti degli operatori esteri”.
Dal punto di vista del consumatore, i produttori che dovessero applicare siffatta misura immetterebbero sul mercato un qualche cosa di unico, poiché diminuire la resa permette di avere un vino certamente diverso dalle annate che lo hanno preceduto e anche da quelle che seguiranno. L’annata 2020, se anticipata dalla vendemmia verde parziale, potrebbe rappresentare una virtuosa singolarità che sarebbe anche utile indicare in etichetta, di modo che il consumatore possa immediatamente comprendere che è stata attuta questa virtuosa pratica in vigna.
Con i decreti attutivi, molto denaro per nulla
Quanto di buono proposto nel Decreto rilancio poi si scontra con l’improvvida delega data al Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, che è stato incaricato di definire i decreti attuativi, con i quali la volontà del legislatore è stata travisata, sostituendola con quella ministeriale.
Infatti, se è rimasta come misura la vendemmia verde parziale che viene attuata “mediante la rimozione parziale dei grappoli non ancora giunti a maturazione”, la riduzione della produzione può anche essere attuata con “la mancata raccolta di una parte degli stessi”, vale a dire non raccogliendo dalla pianta gli acini giunti a maturazione. Una possibilità che non porta qualità, ma permette, ovviamente, di contenere la produzione.
L’Unione Europea ha però escluso che la pratica di lasciare sulla pianta l’uva che potrebbe essere commercializzata al termine del normale ciclo di produzione (mancata raccolta) possa essere considerata vendemmia verde. Inoltre, nella presentazione della domanda non si fa riferimento a come dovrà essere attuata la riduzione della produzione. A ciò si aggiunga che tra i controlli previsti, nessuno di questi prevede la verifica del modo in cui è stata attuata la riduzione della produzione.
Se corretto quanto sopra, allora, l’applicazione del decreto ministeriale potrebbe creare non pochi pasticci.
Chi ha diritto a beneficiare degli aiuti? Rischiano di essere aiuti di Stato?
Qualora il decreto ministeriale stanziasse aiuti fuori dai casi attesi dal Decreto rilancio, aiuti che in sostanza si collocherebbero fuori dal perimetro di legge, l’erogazione di questi potrebbe essere anche qualificata come un indebito aiuto di Stato in favore dei produttori di vino, aiuti che potrebbero anche non venire ammessi dall’Unione Europea.
Potrebbe anche essere visto come un provvedimento contra legem con inimmaginabili conseguenze dal punto di vista giuridico.
Infatti, non è distante dal vero immaginare che possa insorgere un conflitto tra chi ha beneficiato semplicemente perché non ha raccolto l’uva (pratica usuale durante i periodi di vendemmia), una pratica che non prevede il contributo del Decreto rilancio, rispetto a chi, invece, non ha potuto beneficiare degli aiuti perché magari terminati, ma ha appositamente attuato la vendemmia verde parziale, come previsto proprio dal decreto.
Ridurre la produzione aiuta veramente la qualità?
Ma non solo. La riduzione della produzione a seguito della mancata raccolta delle uve non offre nulla al miglioramento della qualità, e avere dichiarato tale scopo per poi disattenderlo ricorda molto una subdola forma di inganno nei confronti del consumatore. Questi, abbagliato dalle etichette, potrebbe anche pensare che concretamente si sia voluto fare qualcosa di utile per migliorare la qualità, ma il dettaglio rileva, invece, che le buone intenzioni vengono disattese e a pagare dazio è ancora una volta la buona fede del consumatore.
Insomma, da questo possibile pasticcio ne esce male l’Italia poiché è certo che le contraddizioni sopra emerse in termini di tutela del mercato, miglioramento della qualità, contenimento della produzione non sono “un ottimo biglietto da visita in termini di serietà, trasparenza e garanzia di qualità del vino italiano, soprattutto nei confronti degli operatori esteri”.
La questione dei tempi di erogazione degli aiuti
D’altra parte, il tempo trascorso dalla data del Decreto rilancio del 19 maggio 2020, alla conversione di questo in legge il giorno 17 luglio 2020, all’arrivo del decreto ministeriale attuativo della misura che, a sua volta, ha delegato ad un’altra circolare dell’Agenzia per le Erogazioni nell’Agricoltura per la concreta applicazione di questa è stato un infinito tempo di attesa, poiché i produttori prima del 23 luglio 2020 non potevano avere contezza dell’interezza della misura adottata.
In passato, in casi analoghi, siffatta misura è già stata attuata dall’Agenzia per le Erogazioni nell’Agricoltura che ha però rilevato come problematiche amministrative di diversa natura hanno comportato un sotto-utilizzo delle risorse disponibili e hanno impedito ad alcune aziende di accedere agli aiuti richiesti.
Chi paga il 15 per cento di produzione in meno in attesa degli aiuti (non sicuri)?
Provando a fare chiarezza sulla misura che in concreto è stata adottata è possibile osservare come il Decreto rilancio, sebbene abbia compreso che il problema maggiore per i produttori è la mancanza di liquidita nell’immediato, richieda però loro di attuare la vendemmia verde parziale facendosi loro carico di tutti i costi che dovranno essere anticipati. Ciò comporta che i produttori dovranno autonomamente supportare il costo del diradamento dell’uva e, al contempo, sostenere una perdita secca del 15% della produzione di uva.
Tuttavia, a fronte di tali sacrifici, è certo che l’aiuto che non potrà essere erogato prima del 20 novembre, termine entro il quale dovranno essere rese disponibili le informazioni di raccolta uve per la stagione 2020/21, e si dice che questo verrà erogato entro 31 dicembre 2020, ma nulla è stato previsto qualora l’aiuto non venisse erogato entro quella data.
L’importo stanziato dei cento milioni di euro è una misura fissa, non aumenta con l’aumentare delle domande. Ecco allora che dovrà essere fatta una graduatoria delle richieste. Peccato che la vendemmia sia già iniziata e che il termine per l’inoltro delle domande di aiuto fosse previsto per il giorno 10 agosto 2020 e solo dal giorno successivo, ma non viene indicato un termine di scadenza quindi si può dire prima o poi, verrà fatta la graduatoria delle domande ammissibili e solo da allora si potrà comprendere chi potrà beneficiare dell’aiuto.
Ecco allora che è reale il rischio che venga presentata una domanda di aiuto, che venga sostenuto il costo del diradamento delle uve, che il produttore si auto-infligga una perdita secca pari alla minore resa produttiva del 15% per poi scoprire, in un secondo momento, che non potrà beneficiare dell’aiuto stanziato perché le risorse sono terminate.
Insomma, facendo la tara delle buone intenzioni, una misura così congegnata è buona solo di principio, e non sembra proprio una misura che garantisca un aiuto concreto ai produttori.
C’era un’alternativa?
Di grande interesse l’opinione di Carlo Pietrasanta, vignaiolo e tra i padri fondatori dell’enoturismo in Italia, il quale ritiene che “se si fosse veramente voluto aiutare il settore si sarebbe dovuto fare una bellissima distillazione di sostegno, dove le cantine, di fronte ad un valore congruo del prezzo del vino al litro, avrebbero consegnato volentieri il vino alla distillazione e anche la produzione di quest’anno avrebbe avuto già per una parte una sua collocazione.
Esempio: oggi il vino per produrre alcol o aceto viene pagato per un vino di 12 gradi € 0,20 al litro, praticamente non ci paghi quasi nemmeno i costi di vendemmia .
Uno Stato illuminato avrebbe detto alle distillerie: voi pagate almeno € 0,40, io ci metto altrettanto e arriviamo a € 0,80, cifra con la quale non ci si guadagna, ma non ci si perde nemmeno, e che avrebbe garantito altri quattro benefici:
1. Si svuotano le Cantine.
2. La produzione 2020, che si presenta abbondante, viene tutta raccolta e una parte mandata alla distillazione.
3. Si ottiene alcol, che come ben sappiamo ci serve molto in periodo di Covid-19 e servirà ancora per almeno un anno o forse anche di più.
4. Non lo si importa facendo guadagnare altri Stati che questa cosa l’anno attivata facendo sbilanciare la nostra bilancia import-export”.
Poi, alla fine di tutto, rimane un’altra domanda: l’uva non raccolta dalla pianta che è servita per ridurre la produzione che fine farà? Verrà distrutta, verrà lasciata morire oppure alimenterà un mercato parallelo? Perché bisogna anche dire che solo le DO e IG possono beneficiare della misura di aiuto, e allora per le altre tipologie di vini non è escluso che per questa annata ci potrà essere un inaspettato aumento della produzione.