L’ultima edizione del Trentodoc Festival ha dedicato un tavolo di degustazione al Pinot Meunier: e se fosse il primo passo per la valorizzazione di questo vitigno negletto?
Partecipare al Trentodoc Festival e frequentare il tavolo di degustazione “Ci siamo anche noi: Pinot bianco e Meunier” offre l’occasione per fare quattro chiacchiere sul Meunier nella regione trentina e altrove.
In tema di bolle, il disciplinare di produzione del Trento Doc è una porta aperta sul mondo. I quattro vitigni indicati nel disciplinare di produzione Chardonnay, Pinot nero, Pinot bianco e Meunier, dove ciascuno, anche in purezza, può portare la denominazione Trento Doc (e altrettanto lo può fare una qualsiasi combinazione di queste uve), offrono in termini di varietà qualcosa di inarrivabile all’interno del panorama vitivinicolo domestico.
Ad esempio (ne abbiamo parlato qua), il disciplinare della Franciacorta non ammette la denominazione Doc per la spumantizzazione del Pinot bianco in purezza, e non è previsto l’uso del Meunier nella denominazione.
Il Pinot Meunier: un vitigno per pochi intimi
Difatti, ed è questo il tema, il Pinot Meunier all’interno di una denominazione di origine protetta è possibile coltivarlo solo in Trentino, non altrove. Sebbene, poco più in là, in Lombardia, il Meunier possa essere coltivato e rientrare all’interno delle indicazioni geografiche tipiche Igt.
Diversamente altrove, rimanendo nelle regioni italiane, la coltivazione Meunier non è idonea all’impianto per fini commerciali. In Francia, invece, proprio con questo vitigno vengono assemblati gli Champagne, anche se nessuno di questi con il Pinot Meunier in purezza può fregiarsi della denominazione “Gran Cru”, a differenza degli Champagne vinificati in purezza con uve Chardonnay o Pinot nero.
Insomma, il Pinot Meunier è un vitigno internazionale che è ancora alla ricerca del suo miglior territorio per poter essere il protagonista assoluto.
Il Pinot Meunier in Trentino: quale futuro?
Eppure, nonostante ciò, il Trentino per tradizione è apparentemente disinteressato alla coltivazione di questo vitigno. Dei 10.211 ettari coltivati a vite in Trentino, gli istogrammi di distribuzione non riportano neppure uno 0,0 di coltivazione a Meunier. L’ultimo posto per estensione è riservato al vitigno Solaris (0,2%): del Meunier nessuna traccia.
Questo perché in Trentino le coltivazioni con uva Meunier sono presenti in solo 15 ettari su 10.211, quindi lo 0,00… (e dell’unico produttore trentino dentro la denominazione Trento doc che coltiva Meunier e lo vinifica in purezza ne abbiamo già parlato qua).
Ma se questo è lo stato dell’arte, è allora interessante chiedersi se il Meunier continuerà a rimanere in disparte nel panorama vitivinicolo italiano, oppure se per lui non ci sarà un futuro diverso? E per provare a rispondere a questa domanda sarà allora necessario intrecciare un po’ di dati, dopo aver assaggiato delle bottiglie carbonare e aver raccolto le dicerie della provincia trentina: la quasi meno pettegola di Italia.
Così, analizzando i dati di produzione delle barbatelle di Meunier, si scoprirà che queste hanno visto una produzione di sole 95 unità nel 2018, per poi passare a 3.855 unità nel 2019, a 17.710 nel 2020, a 19.722 nel 2021 e arrivare a 18.911 nel 2022.
Invece, i cloni di Meunier presenti nel registro nazionale delle varietà di vite, iscritti per la prima volta nel 1992 con la prima coppia registrata dall’allora Istituto Agrario San Michele all’Adige, hanno visto la registrazione di un nuovo clone ad opera di Vivai Cooperativi di Rauscedo, con l’iscrizione del clone nella Gazzetta Ufficiale del 26 giungo 2021. Insomma, un investimento in termini di tempo, ricerca e danari da parte di Rauscedo, che, volendo utilizzare una metafora sportiva, è una realtà che solitamente non partecipa a nessun campionato, perché li inventa di sana pianta.
Gli esperimenti carbonari in Oltrepò Pavese
Passando invece all’assaggio delle prime bottiglie carbonare, rigorosamente senza etichetta, è stato possibile assaggiarle sottobanco al Vinitaly 2023, e non in una regione a caso, ma proprio in Lombardia, prodotte nella zona dell’Oltrepò Pavese.
Le bottiglie fatte girare sono stati i primi esperimenti di spumantizzazione di Meunier, e sono sembrati interessanti. Bolle dotate magari di una maggiore acidità rispetto a quella in uso nell’ortodossia francese, ma che per fortuna da quella si distinguono rendendole così personali da poterle distinguerle agevolmente proprio perché fatte in quel territorio. Bisognerà poi vedere in un futuro se quella riconoscibilità sarà sufficientemente peculiare da essere contenuta dentro una denominazione di origine un po’ più ristretta; ma questa per il momento è davvero un’altra storia.
Il futuro parte da due ettari in Trentino?
Ascoltando invece le chiacchiere a mezza bocca che si raccolgono nella provincia trentina, si dice con una certa insistenza che dalle parti di Faedo, per intenderci un paese appena sopra San Michele all’Adige, sono stati coltivati a vite Meunier due ettari di terreno da parte di chi vive il futuro dentro la soglia di casa ed è abituato a sparigliare le carte senza fare troppo caso alle denominazioni.
Insomma, il futuro del Meunier in regione trentina e fuori regione pare essere tutto da scrivere, e si è iniziato a farlo proprio nell’ultimo periodo.
L’aumento della produzione come numero di barbatelle, l’iscrizione di nuovi cloni, e l’affaccio di nuove realtà, da qui a cinque anni, porteranno qualcosa di nuovo nel panorama vitivinicolo italiano, con la speranza che quelle bolle in Meunier possano conquistare il mondo e misurarsi in pari grado coi “Gran Cru” di Champagne francesi.
Ecco, il Meunier in purezza continua ad essere un regno senza corona, ma si spera ancora per poco.