Storia di un legame quasi sconosciuto: quello che collega le meravigliose colline della Valpolicella al Sommo poeta (parte I).
“E perché meno ammiri la parola, guarda il calor del sol che si fa vino, giunto a l’omor che de la vite cola”
(Divina Commedia, Purgatorio, XXV, 76-78)
È difficile dire se il ricordo della Divina Commedia possa essere per ciascuno piacevole. È però certo che si ha memoria immortale della poesia di Dante e dei suoi patimenti amorosi, se non altro perché un po’ tutti durante l’adolescenza ci si è confrontati con l’inconsolabile assenza di Beatrice.
Però, se l’immortalità del ricordo è in sé bastevole a chi viene ricordato, per chi arriva poi, invece, può anche non bastare. Perché oltre al ricordo, magari, si vorrebbe anche trattenere la traccia diretta di quella discendenza conservandone il cognome. Ecco allora che le colline della Valpolicella sono pronte a raccontare una delle tante saghe famigliari che hanno avuto origine in quei luoghi.
L’esilio e il lungo girovagare
Malamente conclusa la vita di Dante a Firenze con l’esilio a lui imposto, il Sommo, assieme al suo ultimo figlio Pietro, ha girovagato per circa un ventennio tra Forlì, Verona, Treviso per poi stabilirsi definitivamente a Ravenna, dal 1318 al 1320, presso Guido Novello da Polenta.
La notte del 14 settembre 1321, con la morte di Dante, al figlio Pietro viene affidato l’annoso compito di sbrogliare la matassa sul cosa fare della propria vita: ritornare a Firenze o vivere altrove garantendo discendenza a un cognome così importante.
Dopo un breve e doloroso passaggio a Firenze, con la presa d’atto del dissesto economico familiare, in Pietro si fa strada l’idea di trovare un invidiabile compromesso capace di equilibrare le esigenze pratiche, assieme a quelle sentimentali che devono sorreggere la vita. Quelle scelte, ma lui non avrebbe potuto certo immaginarlo, segneranno per sempre la futura discendenza Alighieri.
Il legame con la Valpolicella
E così, sebbene abbia rinunciato a vivere nella natia Firenze, Pietro non ha rinunciato a condividere la vita con persone che avessero calpestato la sua stessa terra, sposando la toscana Iacopa di Dolcetto de Salerni, figlia di un mercante pistoiese, probabilmente in esilio a Verona per ragioni politiche.
Grazie alla generosa dote così ottenuta Pietro ha potuto agevolmente scegliere dove vivere con Iacopa, e non a caso ha scelto la Valpolicella, luogo in cui aveva trascorso parte della vita assieme al padre. E proprio in quel luogo, nella tenuta Casal dei Ronchi in Gargano, acquistata a suo tempo, la discendenza diretta di Dante ha ancora il piacere di vivere assieme oggi.
Quella che apparentemente può assomigliare a una lineare storia famigliare, in realtà, nel corso degli anni ha avuto un motivo di forte apprensione. La tenuta Casal dei Ronchi, oggi, non porta il cognome del solo Alighieri. Si chiama, infatti, Serego Alighieri e per capire cosa è successo è necessario fare un piccolo passo nella storia famigliare Alighieri del 1500.
Il problema della discendenza
Il discendente diretto di Pietro figlio di Dante, Pietro IV ha l’annoso compito di curare la trasmissione del cognome Alighieri di modo che non venga perso o dimenticato nelle pieghe della storia. E c’è un solo modo per farlo: generare un figlio maschio.
Però, nonostante gli sforzi profusi e l’estenuante impegno, Pietro IV dalla moglie Teodora Frisoni ha ricevuto in regalo una bellissima figlia, Ginevra Alighieri. Ecco così gravare su di lei il peso e la sorte di alcune questioni di non semplicissimo rimedio. Con chi si sposerà? In seguito riuscirà a generare figli maschi? Se anche tutto ciò si dovesse realizzare, come sarà possibile trasmettere il cognome Alighieri, se solo il cognome del marito marca le tracce della discendenza?
La prima questione ha trovato una felice conclusione nel 1549: Ginevra si è sposata con il conte Marcantonio Serego, nobile di origine vicentine, in un matrimonio che le cronache di allora ricordano come sfarzoso.
Ma anche la seconda questione ha trovato un felice epilogo, perché dal matrimonio sono nati 5 figli, anche se 4 di essi, assieme alla madre deceduta un anno prima, sono scomparsi prematuramente nella triste decade 1572-1582.
Una questione risolta con l’inventiva
L’annosa questione della trasmissione del cognome Alighieri ha, invece, richiesto non poca inventiva.
Francesco Alighieri, canonico, zio di Ginevra, e ultimo maschio della discendenza diretta di Dante, è per fortuna andato in soccorso della nipote perché ha avuto l’idea di istituire erede, cedendogli tutti i suoi beni, il pronipote Pieralvise Serego, il primo figlio nato dall’unione di Ginevra con Marcantonio Serego.
Con quella istituzione di erede, però, a Pieralvise è stato richiesto di obbligare se stesso e tutti i suoi discendenti ad accompagnare ora e per sempre al cognome Serego anche quello di Alighieri. Così si legge nel testamento sottoscritto in data 12 agosto 1558: <<In infinitum vocari se faciat et faciant de familia Aleigerorum>>.
Un cognome tramandato fino ai nostri giorni
E così con la morte di Francesco Alighieri, avvenuta nel 1562, ha inizio la storia della famiglia Serego Alighieri, che ha tramandato quel cognome fino ai giorni nostri.
Poi però, come ogni storia familiare della Valpolicella che si rispetti, non può certo mancare la costruzione di una villa, un bizzarro architetto e il classico inadempimento dell’impresa costruttrice.
La possibilità per la sua discendenza di accompagnare al cognome Serego anche quello di Alighieri ha, infatti, imposto a Marcantonio di provvedere alla rifondazione dinastica. Così ha scelto di costruire una nuova casa capace di accogliere il futuro della famiglia.
Nella località di Santa Sofia di Pedemonte attorno al 1566 hanno allora inizio i lavori di costruzione della Villa Santa Sofia il cui committente “Marc’Antonio Sarego” ha incaricato un certo Andrea di Pietro della Gondola, vale a dire il Palladio, di realizzare una casa che potesse accogliere e suggellare quella nuova unione dinastica.
L’incarico al Palladio
Non è questo il luogo più adatto per partecipare al dibattito se la singolarità della villa progettata rientri tra le migliori costruzioni del Palladio, oppure no. Tuttavia è certo che di quella villa pensata sulla carta ne è stata realizzata meno della metà, così come si può valutare dalla visione delle tavole pubblicate sui Quattro Libri dell’Architettura del Palladio alla voce “la fabbrica del signor conte Marc’Antonio Sarego”.
Osservando solo quella porzione di villa realizzata è però bello immaginare il viso di Ginevra, naso aquilino, capelli lunghi, ricci, raccolti, e il volto di Marcantonio, capelli corti, con una leggera stempiatura, barba curata, mani molto grandi, ritratti entrambi nel dipinto “La Famiglia Serego sotto il crocifisso” e vederli assieme, mano nella mano, davanti a quella villa in costruzione assorti nei loro pensieri. Perché aver affidato a quel bizzarro architetto quei lavori apparentemente senza fine?
In realtà né Marcantonio né Palladio potevano allora immaginare che la stranezza di quella villa incompiuta, assieme alle tante altre realizzate dall’architetto e costruite in Valpolicella, avrebbero reso unico il territorio tanto da renderlo meritevole di protezione.
E, infatti, già il bizzarro ma geniale architetto colse meraviglia della Valpolicella descrivendo le colline sue quali avrebbe dovuto costruire la villa Serego: <<A Santa Sofia, luogo vicino a Verona cinque miglia, è la seguente fabbrica del signor Conte Marc’Antonio Sarego, posta in un bellissimo sito, cioè sopra un colle di ascesa facilissima, che discuopre parte della Città, ed è tra due Vallette. Tutti i colli intorno sono amenissimi e copiosi di buonissime acque; onde questa fabbrica è ornata di giardini e di fontane maravigliose>>.
Ed esattamente con quella stessa idea di meraviglia per gli ameni colli, le buonissime acque, le ville costruite e i terrazzamenti tutti attorno, vediamo oggi immortale il paesaggio della Valpolicella, assieme al suo territorio, alle sue opere e alle sue storie, perché quei luoghi hanno ricevuto piena tutela e protezione nella loro interezza grazie all’iscrizione delle “Le colline terrazzate della Valpolicella” nel Registro nazionale dei Paesaggi Rurali delle Pratiche Agricole e delle conoscenze tradizionali. (Segue parte II).
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