E se per superare la crisi i produttori di vino italiani vendessero “en primeur”? Si tratta di una pratica ben conosciuta nel mondo vitivinicolo francese e poco diffusa nel nostro Paese. In sostanza, il consumatore acquista sulla fiducia grandi o piccole quantità di bottiglie che verranno messe sul mercato negli anni a venire, ma ad un prezzo più basso. Di fatto si tratta di una scommessa sulla qualità del vino prodotto nell’anno in corso.
Recentemente Angelo Gaja, punto di riferimento nel mondo del vino, ha scritto una lettera aperta nella quale si legge: “Occorrono idee nuove, pensare di utilizzare solamente gli strumenti del passato non sarà di grande giovamento prima del ritorno alla normalità”.
Leggendo l’intero intervento si ha la sensazione che il mercato venga considerato per lo più dal punto di vista del produttore, senza considerare la posizione del consumatore. Gaja suggerisce di riequilibrare il mercato mandando anche le Denominazioni in distillazione, di modo che il vino venga distrutto: così facendo ci sarà una minore offerta, a sostegno del prezzo.
Questo anche in considerazione del fatto che le buone intenzioni del Legislatore contenute nel Decreto “rilancio” per il mondo vitivinicolo sono state disattese con i decreti attuativi emanati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, che hanno trasformato la vendemmia verde parziale, misura potenzialmente virtuosa sia per i consumatori sia per i produttori di vino, in un fallimento annunciato (ne abbiamo parlato qui).
Ecco i numeri: dei 100 milioni di euro stanziati per il contenimento della produzione ne verranno utilizzati solo 39; dei 50 milioni di euro stanziati per la distillazione ne verranno utilizzati solo 14. Un flop che NotizieGeniali.it aveva previsto e annunciato.
Con questa crisi ci sarà inevitabilmente una contrazione della domanda, a parità di offerta degli anni precedenti, e allora la strategia migliore per comprare del vino sarà quella di attendere che i prezzi calino.
Rispetto a tale evenienza, nella sua lettera aperta Gaja suggerisce una soluzione – ci permettiamo di commentare da semplici esperti di diritto – che non risolve il problema con soluzioni innovative, o con nuove proposte diverse e uniche da offrire al mercato e al consumatore.
Ecco allora che la vendemmia verde parziale voluta dal Legislatore nel 2020, se attuata per tempo e con criterio per la vendemmia 2021 potrà dare nuova linfa al mercato proponendo per quell’anno prodotti unici che varrà la pena acquistare, magari pagando un prezzo maggiore, poiché non verranno più replicati per il futuro.
Per il 2020, però, il tema della crisi rimane. E i numeri dimostrano che i provvedimenti messi in atto non risolveranno o aiuteranno i produttori.
Ma la questione, oggi, è come uscire dalla crisi e per farlo c’è bisogno di un patto forte tra vignaioli e consumatori, con l’obiettivo di trovare un punto di incontro che soddisfi entrambi, perché oggi i produttori non vendono e i consumatori non comprano, a causa della crisi e dei prezzi ancorati a parametrati alle condizioni del passato.
Ecco allora che la vendita del vino “en primeur” potrebbe essere l’occasione per spostare il mercato in una direzione fino ad ora poco esplorata, inserendo, dietro equo compenso, una novità: lasciare il vino in cantina oltre il tempo della messa in commercio di modo che l’invecchiamento avvenga direttamente dal produttore, probabilmente il posto migliore per un vino di invecchiare.
La vendita “en primeur” può concretamente generare effetti virtuosi. Sembra però tutto troppo semplice, poiché a valle rimane sempre il problema legato all’adempimento del venditore: le cantine più piccole, che poi sono la maggioranza, potrebbero faticare nel garantire la produzione delle bottiglie virtualmente già vendute, mancando la consegna del prodotto.
A ragionare con attenzione, però, se effettivamente il problema a valle è la garanzia di consegna della merce da parte del venditore, ecco allora che le somme stanziate a sostegno delle produzioni possono trovare un diverso impiego a sostegno della domanda e dell’offerta in una forma non ancora utilizzata.
Si potrebbe pensare che quelle somme possano essere utilizzate a garanzia dei contratti “en primeur” da parte delle cantine, anche di piccole dimensioni, a sostegno del rapporto contrattuale tra il produttore e consumatore garantendo e assicurando, con la collaborazione delle banche e delle compagnie assicurative, che con la sottoscrizione del contratto verrà consegnata la merce da parte del venditore.
In questo modo il patto tra produttore e consumatore verrebbe garantito da adeguate certezze e il mondo del mercato vitivinicolo potrebbe trovare nuova linfa o, quantomeno, un diverso modo per determinare il prezzo conseguente la domanda e l’offerta immaginando che quel contratto sottoscritto tra il consumatore e il produttore poi possa essere anche ceduto sempre con la garanzia di consegna della merce da parte del produttore.
Un cambio di prospettiva che, in un primo momento, potrà anche far storcere il naso a un mondo spesso conservatore come quello vitivinicolo, ma che in qualche modo si rende indispensabile in una fase storica come quella attuale. Perché oggi il contesto è radicalmente cambiato rispetto a ciò che era anche solo nove mesi fa e – volenti o nolenti – non sarà mai più quello di prima.