L’azienda milanese Goppion scelta anche per custodire i gioielli della Corona
Quelli più celebri sono sicuramente la Gioconda e i gioielli della Corona. Ma i tesori protetti dalle teche e dalle vetrine made in Lombardia firmate dalla Goppion S.p.a., sono molti di più.L’azienda, nata a Milano nel 1952 e oggi a Trezzano sul Naviglio, è infatti cresciuta nel corso degli anni al punto da poter accettare anche le sfide più difficili. E, sotto la guida di Alessandro Goppion, cavaliere del Lavoro e rappresentante della seconda generazione di quella che nonostante tutto è rimasta una realtà famigliare, è diventata leader mondiale per la realizzazione di allestimenti e vetrine per musei. “Mio padre è stato sicuramente un antesignano sotto vari aspetti”, racconta Goppion. “Molto prima di altri aveva capito due cose: innanzitutto che esporre è intrinseco nella natura umana, nel senso che qualsiasi cosa si produca, da uno scritto a un abito fino a una casa, si espone qualcosa. L’altra cosa che aveva capito, ben prima dei grandi teorici del networking, era che nei dintorni di Milano c’era una tale ricchezza di artigiani che non c’era bisogno di replicare quello che già esisteva in altre officine, ma piuttosto di mettere a sistema le officine esistenti”. Fin dall’inizio l’azienda, che oggi conta cinquanta dipendenti e impiega altri cinquanta professionisti del montaggio e dell’installazione che girano il mondo sulle ali delle commesse che arrivano da Europa, Nord America e Medio Oriente, si è specializzata nelle fasi di progettazione, prototyping e assemblaggio. “Progettazione e montaggio sono i due momenti magici del costruire”, sottolinea il cavaliere, “perché nella prima si concepisce quello che si deve fare e nella seconda si verifica e modifica il progetto sulla base delle realtà del costruito”. Il resto, cioè la fase manifatturiera, viene affidato a un network di 220 specialisti sparsi nelle officine della Lombardia, che “è indubbiamente una comunità industriale fantastica”, sottolinea Goppion. Il risultato di questo schema, “sul quale io da bravo figlio avevo inizialmente contestato mio padre sostenendo che avremmo dovuto verticalizzarci di più, salvo poi ricredermi e ammettere che ci aveva visto giusto”, è un’azienda modello in grado di superare anche i colossi tedeschi tradizionalmente leader del settore.“A distinguerci da loro è il fatto che noi siamo mossi da motivazioni complessive, che comprendono l’interesse per la museologia e la museografia, oltre che per l’aspetto ingegneristico”, sottolinea Alessandro Goppion, artefice dello sbarco dell’azienda di famiglia sui mercati internazionali. “I tedeschi, invece, sono mossi da un interesse industriale specifico, organizzato in base a un modello produttivo molto rigido, che ha il vantaggio di non richiedere troppa innovazione, ma lo svantaggio di essere poco adeguato a rispondere alle sfide più complesse e a quelle dei grandi architetti”.Proprio queste caratteristiche hanno fatto sì che l’azienda milanese venisse scelta, nel 1993, per realizzare le teche che custodiscono i gioielli della Corona inglese nella Torre di Londra. “Una sfida che segnò una svolta a livello internazionale e per la quale utilizzammo tecnologie fino ad allora ignote, applicando meccanica di precisione e ingegneria per rispondere alla duplice esigenza di eleganza e resistenza da bunker”, ricorda Goppion. “Le vetrine, dotate di sistema di controllo climatico e meccanismi di altissima sicurezza, vennero anche portate in un hangar e testate dai servizi segreti inglesi, che le sottoposero a una serie di esplosioni per essere certi che potessero resistere anche a un attacco terroristico”.Sia in questo caso, sia in quello della vetrina della Monnalisa al Louvre di Parigi, dove “l’esigenza era quella di avere una vetrina inespugnabile, ma apribile in soli tre minuti perché in caso di attacco, di incendio o di altro sinistro si doveva poter intervenire in tempi rapidissimi per asportare il dipinto”, si resero necessari oltre due anni di lavoro congiunto con il museo per trovare tutte le soluzioni migliori. Uno sforzo notevole ma di grandissima soddisfazione, come d’altra parte quelli richiesti per le teche che l’azienda ha realizzato al Metropolitan Museum of Art di New York e al British Museum di Londra, e per quelle che realizzerà alla Galleria Nazionale di Oslo, solo per fare qualche nome. E in Italia? “Qui lavoriamo pochissimo”, ammette Goppion. “Assistiamo basiti a questa strana contraddizione tra un Paese che dispone di un patrimonio incredibile e interessantissimo e la disattenzione sistematica della classe politica verso questa tradizione”.
Libero, 23 febbraio 2018