Per la maggiore parte degli imprenditori il fatto di essere tra i primi al mondo nel proprio settore sarebbe stato già di per sé un punto di arrivo. Invece, per il maestro liutaio Giovanni Lucchi e per il figlio Massimo, studi ingegneristici e una passione per la professione ereditata dal padre, il fatto di essere tra i produttori più ricercati dai grandi violinisti in cerca dell’arco perfetto per estrarre il suono dal proprio strumento, ha rappresentato solo un punto di partenza.
Quella della Lucchi Cremona Sas, piccola azienda di cinque persone capace di imporre il proprio nome in un mercato ristretto ma di dimensioni mondiali, è una storia esemplare di come un lampo di genio possa rivoluzione un intero settore. Teatro di questa avventura non poteva che essere la città di Cremona, terra di Stradivari e vera e propria culla del violino e dei grandi liutai del passato.
È qui che viene sviluppata, nel 1983, quella che rappresenta una novità assoluta a livello mondiale: un apparecchio che verrà chiamato LucchiMeter e che ancora oggi è il riferimento a livello internazionale per indagare e misurare la qualità del legno per strumenti musicali, il cui impatto sul settore è stato tale che il “lucchi” è diventato unità di misura informale tra gli addetti ai lavori per determinare il grado qualitativo di un tronco o di un archetto.
“Da sempre chi faceva il nostro mestiere si è trovato a confrontarsi con il problema delle differenze di suono non solo tra legni diversi, ma anche nello stesso tipo di legno”, spiega Massimo Lucchi, presidente dell’azienda, una delle 23 eccellenze lombarde premiate da Imprese di Valore, l’iniziativa di Regione Lombardia e Unioncamere Lombardia per valorizzare le migliori realtà aziendali del territorio. “Se si prendono due tavole di abete, infatti, non è detto che entrambe abbiano le stesse caratteristiche in termini di vibrazioni, amplificazione e resistenza: anzi, le differenze possono anche essere molto grandi, tanto che anche quando queste caratteristiche si misuravano in modo empirico si utilizzava una scala da 1 a 10”.
Proprio per questo motivo, nell’epoca antecedente l’invenzione del LucchiMeter si doveva prima realizzare l’arco e poi verificarne la qualità con una serie di prove sul campo. Oggi, invece, grazie alle due sonde dell’apparecchio, che vengono appoggiate alle estremità della tavola di legno e che misurano il tempo (in microsecondi) impiegato da un impulso ad ultrasuoni per attraversarla, è possibile conoscere qualità elastica e vibrazionale in maniera scientifica, determinando un parametro qualitativo quantificabile e universale.
Un cambiamento rivoluzionario. Il cui impatto, difficilmente immaginabile per i non addetti ai lavori, si può comprendere più facilmente pensando che “mio padre per riuscire a produrre in un anno dieci archetti come diceva lui doveva prendere tre tonnellate di legno e lavorarlo tutto, senza sapere con certezza da dove sarebbe uscito l’archetto migliore. Ora, invece, possiamo acquistare direttamente il singolo tronco, sapendo preventivamente quali caratteristiche avrà il prodotto finale”, prosegue Lucchi. “Se si pensa che la qualità del legno incide per il 70% su quella del prodotto finito e che il gap di prezzo tra la qualità più alta e quella più bassa può arrivare fino a venti volte (da cinque a mille euro), è chiaro che questo fa una notevole differenza”.
Nessuna sorpresa, quindi, che quell’apparecchio nato come prototipo negli anni Ottanta, più per utilizzo aziendale che con l’idea di commercializzarlo, sia diventato con il passare dei decenni sempre più ricercato. Dopo le prime vendite in Italia e quelle in Europa, a partire da Francia e Germania, il LucchiMeter è stato commercializzato in tutto il mondo, compresi Stati Uniti, Australia, Corea del Sud e Giappone.
Ma c’è di più. Visto che il desiderio di conoscere la qualità del legno non è solo dei liutai e degli artigiani, ma anche dei commercianti di legnami e di alcune grosse industrie di strumenti musicali, il LucchiMeter sta trovando anno dopo anno sempre più applicazioni. “Questo ha garantito una ripresa delle vendite dopo un periodo in cui si era registrata una flessione, perché chi faceva il nostro mestiere ormai l’aveva acquistato e quindi avevamo quasi esaurito il mercato di riferimento”, conclude Lucchi.
Libero, 10 marzo 2018