Aperto a Monza negli anni Cinquanta, Vimercati Hats 1953 produce ancora oggi copricapi fatti a mano e con lavorazione tradizionale. I suoi articoli sono esportati in tutto il mondo. Oggi è l’ultimo cappellificio artigianale rimasto in Lombardia.
Difficile dire quale sia l’aspetto più curioso. Se il fatto che si tratti dell’ultimo cappellificio artigianale rimasto in Lombardia e uno dei pochissimi in Italia. Se il fatto che il loro cliente più importante siano i rabbini ortodossi di Israele. O, ancora, se il fatto che dal loro laboratorio, in fondo a una strada senza uscita lungo il canale Villoresi e a poca distanza dal centro di Monza, escano i cappelli per le griffe del lusso della moda internazionale, per gli scout francesi, i copricapo tradizionali tirolesi e cappelli da cowboy.
Ciò che è certo, è che quella di Vimercati Hats 1953, piccola impresa artigiana che realizza ancora ogni singolo pezzo a mano, è una storia straordinaria al di là del fatto che sia l’unica realtà rimasta a testimoniare una tradizione che tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento aveva visto il capoluogo brianzolo diventare addirittura la capitale mondiale dei cappelli (in lana), con punte di 15 milioni di pezzi prodotti ogni anno e vendite in tutto il mondo.
Una storia iniziata negli anni Trenta
“Tutto ha avuto inizio già negli anni Trenta, quando mio nonno Gabriele imparò il mestiere facendo il garzone nei principali cappellifici di Monza”, racconta Fabrizio Vimercati, che con la sorella Elisa e il cugino Roberto rappresenta la terza generazione nell’azienda di famiglia, nella quale la seconda generazione è rappresentata da papà Marco e zio Giuseppe. “Poi, nel 1953 decise di mettersi in proprio e, con il fratello Giulio, aprì un laboratorio acquistando macchinari usati da altri cappellifici”.
A quei tempi i cappelli erano un articolo molto richiesto. Tanto che star dietro alla domanda era un’impresa quasi impossibile, con liste di attesa di tre mesi per evadere gli ordini nonostante una produzione standard per l’azienda di 600 cappelli al giorno, pari a 150 mila cappelli all’anno.
Il distretto monzese primo al mondo
Poi, a partire dagli anni Novanta, la domanda è progressivamente andata diminuendo, in parte per la concorrenza a basso costo dei prodotti cinesi e in parte per un mutamento dei costumi nei mercati di riferimento. Un cambiamento del contesto che spiega perché questa piccola realtà famigliare, che conta un totale di sette addetti, sia l’unica rimasta di quel distretto dei cappelli che ai tempi d’oro contava 50 aziende e oltre 25 mila addetti occupati tra la produzione e l’indotto.
Per sopravvivere ha dovuto cambiare pelle, puntando su una produzione di alta gamma, tutta rigorosamente fatta a mano con tecniche e macchine tradizionali che ormai quasi nessuno al mondo utilizza più. Per produrre un cappello partendo dalla base fino ad arrivare al prodotto finito servono dai 15 ai 20 giorni, a secondo del tipo di articolo e di lavorazione. E il costo va di conseguenza: per un copricapo Made in Brianza oggi si spendono da un minimo di 170 euro fino a 450 euro, in base a materiali, forma e colori.
I clienti internazionali
“Attualmente produciamo in media 70/80 cappelli al giorno (15 mila all’anno, Ndr), tutti fatti su misura e su richiesta”, spiega Giuseppe Vimercati. Il cliente principale sono le comunità ortodosse di Israele, che acquistano circa 8 mila pezzi all’anno. Ma i mercati esteri, più in generale, assorbono comunque la quasi totalità della produzione, con Corea del Sud e Unione Europea come destinazioni principali dopo Israele.
“La produzione avviene a caldo, esattamente come all’inizio del Novecento, e la parte fondamentale del lavoro è svolta dal vapore, che si utilizza in quasi tutte le fasi”, spiega Fabrizio, mostrando con orgoglio anche tutti quei dettagli all’interno e all’esterno di un cappello che all’occhio meno esperto sfuggono, ma che contribuiscono a definire la qualità e l’unicità del prodotto.
Artigianalità e sistemi produttivi tradizionali
“A fare la differenza, oltre alla scelta dei materiali migliori, è anche la capacità del singolo artigiano di lavorare il cappello. Noi in ogni passaggio lavoriamo con la massima cura e attenzione, a costo di rifare una parte nel caso emerga un’imperfezione”.
Una scelta che paga. E che, insieme alla possibilità di scegliere anche colori in sintonia con le tendenze del momento, spiega perché i cappelli brianzoli siano ricercati “da ogni fascia di età”, sottolinea Fabrizio. “Quella del cappello come articolo legato al passato è una visione un po’ italiana: all’estero lo cercano e lo usano molto di più. E lo utilizzano molto anche i giovani”.