La Maribert di Cernusco Lombardone ha brevettato un accessorio che si attiva con lo smartphone
Un bottone parlante in grado di comunicare con i nostri smartphone e fornire informazioni sull’autenticità di un capo, sull’azienda che l’ha prodotto o sulle corrette modalità di lavaggio. Perché in epoca digitale anche un accessorio tradizionale, del quale in passato si erano curati perlopiù la qualità estetica e quella dei materiali, può diventare uno strumento di comunicazione.Potrebbe sembrare una delle classiche idee innovative sviluppate in Silicon Valley da qualche visionario startupper americano. Invece, quello del bottone 4.0, che attraverso la tecnologia NFC parla con gli smartphone, è un lampo di genio tutto made in Lombardia.Frutto di diversi anni di ricerca e di impegno, l’accessorio salva-bucato nasce infatti a Cernusco Lombardone, nella Brianza lecchese, ed è firmato da Maribert, piccola azienda famigliare a cavallo tra la seconda e la terza generazione che è stata capace di presentare la scorsa estate quella che rappresenta una novità assoluta a livello mondiale. Nata nel 1970 e ormai prossima al traguardo dei 50 anni di attività, l’azienda, associata a Confartigianato, lavora per i principali marchi dell’alta moda, tra cui Ferragamo, Fendi e Dondup, ed è tra le poche che sono riuscite a mantenere integralmente in Italia la propria produzione mentre buona parte del settore veniva costretto a chiudere o delocalizzare dalla crisi e dalla concorrenza dei Paesi asiatici.“L’italia storicamente era il più grande produttore di bottoni al mondo, ma oggi non lo è più” spiega Marco Crippa, titolare dell’azienda. “Ciò che ci ha consentito di rimanere sul mercato è la qualità, oltre che l’inventiva”.Nel corso degli anni la Maribert, che oggi produce tra i 40 e 50 milioni di bottoni all’anno, tutti nello stabilimento di Cernusco Lombardone dove lavorano sette dipendenti, ha infatti saputo stare al passo con i cambiamenti del mercato e della tecnologia. Il risultato è un’azienda capace di essere innovativa pur trattando un prodotto antico come i bottoni e pur utilizzando perlopiù materiali tradizionali.“A differenza di altre aziende che fanno solo un tipo di bottone, noi nel nostro piccolo facciamo di tutto”, sottolinea Crippa. “Partendo dal disegno per fare in proprio il prototipo, arriviamo a produrre soprattutto con materiali naturali come l’osso, il corozo (materiale ricavato dai semi di una palma coltivata in Sud America, Ndr) il corno e la madreperla”. Se in passato la produzione, arrivata a 100 milioni di bottoni l’anno tra gli anni Novanta e il 2007, veniva completamente assorbita dal mercato italiano, adesso le cose sono decisamente cambiate. “Anche se tra i nostri clienti abbiamo i principali marchi del settore moda, che hanno comunque tenuto in Italia parte della produzione, abbiamo comunque dovuto mettere la testa fuori dall’Italia, per cui oggi il 20% di ciò che produciamo va all’estero”, prosegue il titolare. I mercati di destinazione sono soprattutto Stati Uniti, Romania, Egitto, Germania, Francia e Spagna, “ma i clienti arrivano un po’ da tutto il mondo”, spiega Crippa. “Questo anche grazie a un portale fatto molto bene, a un catalogo online che ci consente di raggiungere potenziali clienti in Paesi lontani senza spendere una fortuna, e a una persona dedicata all’estero che risponde in tempo quasi reale a tutte le richieste che quotidianamente ci arrivano”.Niente male per un’azienda famigliare, che anche nei momenti più difficili, quando dopo il 2007 ha dovuto fare i conti con il calo della domanda e con la recessione, ha continuato a scommettere sulle tecnologie e sull’innovazione, di cui i bottoni con tecnologia NFC sono solo l’esempio più recente. “La nostra politica è sempre stata quella di avere l’ultimo e migliore modello di macchina, perché le macchine più efficienti garantiscono la massima resa in termini di qualità ed efficienza” sottolinea Crippa, il quale già si prepara alla prossima sfida: il passaggio generazionale.“Mio figlio Giovanni, 27 anni, si è laureato in Economia, ha fatto un master e poi è andato a lavorare due anni in un’azienda nel campo dell’automazione, dove lo avevano assunto a tempo indeterminato”, racconta. “Lo scorso anno, però, gli ho spiegato che si stava avvicinando il momento in cui avremmo dovuto decidere cosa fare con l’azienda di famiglia. Così è entrato in Maribert, scoprendo un lavoro al quale si sta appassionando più di quanto probabilmente avrebbe mai immaginato”.
Libero, 17 febbraio 2018