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Gli straordinari vini della Fondazione Mach: mille anni di storia in un calice

House of Wine – L’ottava puntata della web serie sul vino prodotta da Notizie Geniali parla della Nosiola di Fondazione Mach

Il salto è breve, di quasi mille anni, ma il punto di partenza è sovente il medesimo nella storia del vino, che poi è anche parte della storia della Fondazione Edmund Mach: un monastero, le sue regole, i suoi rituali. Ed è facile capirne le ragioni. Perché, tra le celebrazioni eucaristiche giornaliere e alcune altre particolari celebrazioni, il vino nella liturgia latina medioevale è sempre stato richiesto in quantitativi ingenti. Sì, decisamente ingenti.

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Si pensi anche solo al rito di consacrazione a vescovo. Il pontificale romano del XII secolo richiedeva, in origine, come offerta, solo delle “ampullam vini”, delle semplici ampolle. Poi, però, è stato meglio specificato che in verità quelle ampolle dovevano essere intese come “duas amphoras”, due anfore che, secondo la misura di allora, potevano contenere ciascuna fino a 26 litri. E il fatto che potessero, ma non dovessero necessariamente contenere fino a 26 litri, potendo dare adito a spiacevoli fraintendimenti, è stato in definitiva chiarito da Guglielmo Durando, vescovo di Mende (1296), che ha specificato e imposto che quelle due anfore offerte dovevano essere piene. Belle piene.

Il boccale di vino condiviso

Ma si pensi anche al rito della celebrazione del matrimonio. Nella celebrazione di questo sacramento gli sposi portavano all’offertorio pane e un boccale di vino. Al termine della celebrazione della messa, questi doni venivano condivisi con tutti e il boccale con il quale era stato bevuto il vino dagli sposi veniva rotto per suggellare la loro unione indissolubile. Il rituale è poi decaduto con il Concilio Tridentino nei tre momenti scanditi negli anni dal 1545 al 1563.

Che il vino fosse materia viva e vitale nella vita ecclesiale è stato un fatto evidente fin da subito. Meno prevedibile fu la circostanza che la produzione del vino, durante il medioevo, diventasse quasi esclusivo appannaggio e prerogativa dei monasteri.

I motivi di ciò sono molteplici, ma due ragioni su tutte si prestano oggi a dare un’agevole spiegazione.

La vitivinicoltura diventa prerogativa dei monasteri

La prima. Con la fine dell’Impero Romano d’Occidente il trasporto delle merci non è stato più sicuro, l’incolumità delle persone e delle cose era sempre messa in serio pericolo, e questo ha imposto alle genti una politica maggiormente incentrata sull’autoconsumo, favorendo lo sviluppo capillare della vite. Oggi si direbbero produzioni a chilometro zero.

La seconda. Nel corso dei secoli è più che verosimile che il mondo del vino abbia avuto altri interpreti nelle genti contadine. Tuttavia, il loro precario tasso di alfabetizzazione ha fatto sì che si abbia memoria di quei tempi solo grazie alla storia contenuta negli scritti ritrovati nei conventi, che sono l’unica testimonianza di come veniva coltivata la vite e prodotto il vino in quei luoghi.

Perciò, e non a caso, l’inizio della storia della Fondazione Edmund Mach, che dapprincipio portava il nome di Istituto Agrario San Michele, ha origine nel monastero di San Michele all’Adige, consacrato il 29 settembre 1145, costituito grazie alla donazione del castello dei conti di Appiano fatta al Principe Vescovo di Trento che, a sua volta, lo ha dato in uso ai frati Agostiniani. 

L’unione perfetta tra lavoro e conoscenza

E proprio il vivere all’interno di un monastero, con le sue regole e i suoi rituali, ha permesso al vino di celebrare l’esatta unione tra il lavoro e la conoscenza, perché la vita monacale è sempre stata sorretta da una ferrea disciplina dettata fin da subito dalle parole dell’apostolo S. Paolo “Chi non vuol lavorare non deve nemmeno mangiare”. Queste parole, poi, sono divenute la regola benedettina “ora et labora” perché “l’ozio è nemico dell’anima perciò i monaci devono dedicarsi al lavoro” e sono state ben chiarite da Sant’Agostino nel “Lavoro dei monaci”, nel quale è stato scritto che “il Vangelo non proibisce di essere previdenti”.

Gli straordinari vini della Fondazione Mach

Sia detto per inciso che il benessere economico e sociale generalmente diffuso in occidente ha oggi permesso la rivisitazione di ogni precedente regola: “Chi non lavora non fa l’amore”.

Ma, ad ogni buon conto, l’obbligo di lavoro indirizzato a una vita previdente ha portato indissolubilmente a legare il mestiere nei campi all’insegnamento perché, senza il sapere, nessun lavoro può essere decentemente svolto con profitto. E così la coltivazione della vite, e con essa l’enologia, sono diventati argomenti di studio e insegnamento che hanno travalicato i secoli diventando materie didattiche per chi voglia con sapienza e serietà occuparsi della vite e del vino.

La nascita dell’Istituto Agrario

Il prosieguo della storia racconta il declino dei monasteri, l’abbandono delle campagne in favore delle zone maggiormente urbanizzate e, attorno alla metà dell’800, la profonda depressione economica del Trentino. Questa, sommata alla malattia dei campi come quella portata dall’oidio durante gli anni 50/60, oppure come quelle portate dalla peronospora durante gli anni 80,  hanno imposto alla Provincia di intraprendere nuove strade per tentare di porre rimedio a tali incontrollabili e incurabili eventi. Così, con decisione del 3 ottobre 1868 la provincia del Tirolo ha deliberato di acquistare i beni dei canonici religiosi di San Michele all’Adige per costituire, di lì a poco, l’Istituto Agrario San Michele, che ha preso formalmente vita il 12 gennaio 1874, con il primo giorno di scuola segnato per l’11 novembre 1874.

Gli straordinari vini della Fondazione Mach
Gli straordinari vini della Fondazione Mach

Sarà stata forse l’assenza di modelli matematici predittivi delle variazioni meteorologiche, ciò aiutato dalla forte testimonianza di fede di cui sono portatori i luoghi dell’Istituto, fatto sta che il lavoro e lo scandire delle giornate degli allievi della scuola agraria, tutti residenti presso la struttura, ha ricalcato, e di molto, il modo e l’animo del vivere dei frati che li hanno preceduti.

Il lavoro a tal proposito è stato ed è lo scopo educativo dell’Istituto, volendo la struttura “educare bravi economi [agricoltori] pel Tirolo” e “istituire praticamente lavoratori nei singoli rami”.

Oggi come ieri: vita monastica e lavoro

Lo scandire dell’attività didattica durante le ore del giorno, con la sveglia alle 5 del mattino seguita dalla messa, per poi destinare il giorno allo studio e al lavoro e terminare la giornata alle 8.30 di sera, ha ricalcato in modo quasi esatto la vita precedente all’interno del monastero.

E infine, ora come allora, l’epilogo del lavoro degli studenti non poteva che essere suggellato dal vino da loro prodotto e custodito nella vecchia cantina del monastero, che per molti secoli prima era stata fedele custode di molte altre vendemmie.

L’Istituto Agrario San Michele nel corso degli anni è stato diretto da figure di altissimo rilievo. Si pensi al primo direttore Edmund Mach, in seguito a Enrico Avanzi con Rebo Rigotti, oppure si pensi a Bruno Kessler a metà del 900. Tali figure hanno garantito la qualità dell’insegnamento, la qualità della pratica, della sperimentazione e hanno consegnato l’Istituto Agrario al nuovo millennio. Poi riordinato nel 1990 e in seguito trasformato nel 2008 nella Fondazione che porta il nome del primo direttore, Fondazione Edmund Mach, ha sempre mantenuto il medesimo scopo.

La Nosiola della Fondazione Mach

L’esatta sintesi di quanto fino ad ora raccontato può essere trovata in un bicchiere di Nosiola prodotta dalla cantina della Fondazione.

Gli straordinari vini della Fondazione Mach
Studenti in vigna

Quell’uva, forse, c’è sempre stata in Trentino, oppure è stata portata in quei luoghi, non si sa da chi né quando, ma di certo in un tempo molto lontano. Nel 1800 Rebo Rigotti, parlando del territorio, ha raccontato di quell’uva che solo lì si può trovare. Invero oggi è anche possibile trovarla con la denominazione IGT in Veneto, prevalentemente nella parte veronese, ma la Doc è destinata solo al Trentino e alla Valle dell’Adige.

L’uva Nosiola è meglio nota per la parte che viene raccolta tardi nella Valle dei Laghi e messa lì ad appassire, perché è destinata a dar vita al più conosciuto Vin Santo.

In Fondazione, invece, quell’uva, raccolta attorno alla seconda metà di settembre, viene vinificata in purezza, rivelando la meraviglia della storia trascorsa.

Il processo di fermentazione prevede il solo uso di serbatoi in acciaio, mentre una lunga permanenza sulle fecce di fermentazione regala al vino una struttura inaspettata, capace di stupire il palato.

Il suo colore, giallo paglierino con riflessi verdognoli, porta un profumo delicato, fine ed elegante con marcate note fruttate e floreali che in bocca lasciano il posto a una distinguibile nota citrica.

La Nosiola, oggi, è un’uva sempre più rara, se ne coltiva sempre meno anche in Trentino, perciò bisognerà presto assaggiare quella testimonianza contenuta nel bicchiere prima che sparisca il racconto di quella che è una storia iniziata mille anni ormai quasi già tutti trascorsi.

Guarda tutte le puntate di House of Wine.

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