martedì, Febbraio 4, 2025
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Il telelavoro? Geniale, ma non troppo

L’ufficio? Morto e, forse, sepolto per sempre. Roba dell’era a.C. (ante Covid). Il virus lo può annoverare tra le sue vittime illustri. Tutti (tutti no, ma moltissimi) a lavorare da casa, dipendenti pubblici e privati, tra bambini che urlano e figli più grandi alle prese con la didattica a distanza, prima scongiurata, ma ora tornata in auge dopo quest’ultimo Dpcm.

Potrebbe essere in realtà un’opportunità, una geniale opportunità. Ma… Iniziano i ma. Si chiama smart working, o lavoro agile (che spesso di agile ha ben poco, tra pc che si impallano e reti che saltano) e all’inizio, durante la prima ondata di Coronavirus – quella che ci illudevamo finisse con l’arrivo dell’estate – piaceva pure alla maggioranza dei lavoratori. Niente più mezzi pubblici da prendere, soldi della benzina risparmiati e meno sfuriate in coda nel traffico. Insomma basta stress, più libertà, quasi una vacanza inaspettata.

Chi tiene famiglia in realtà aveva subito capito la fregatura: bello starsene a casina, ma poi le baby sitter costano e i nonni sono ormai inavvicinabili perché mica li puoi contagiare, l’appartamento è piccolo e rumoroso, l’ora di pranzo e di cena continua a scoccare anche in tempi di pandemia, manco puoi usare più i ticket restaurant (oltretutto i locali sono chiusi) e insomma qualcuno ha iniziato a rimpiangere l’insalata con i colleghi, le pause alla macchinetta del caffè, sì anche le chiacchiere futili, in verità quel senso di appagamento e di indipendenza che solo il lavoro, forse poco agile ma vero, sa dare.

Perché è stata una rivoluzione. Geniale, ma improvvisa, forse mal gestita e che, attenzione, è solo al suo inizio, vista l’impennata dei contagi con relativa ultima raccomandazione del Governo a incrementare il più possibile il lavoro a distanza.

Una cosa è certa: nulla sarà più come prima. Gli smart worker hanno toccato in Italia quasi quota 7 milioni, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani. Si pensi che erano 570mila prima della comparsa del virus.

Le stime sono di una recentissima ricerca del Politecnico di Milano che ha fornito dati e dettagli del fenomeno: il lavoro agile riguarda la quasi totalità delle grandi imprese, il 58% delle Pmi e il 94% delle pubbliche amministrazioni. Ma l’indagine dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Polimi non si limita a esaminare la situazione attuale, guarda anche avanti: dei 6,58 milioni attivi da remoto durante il lockdown la maggior parte continuerà a lavorare fuori ufficio anche quando l’emergenza sanitaria sarà finita. Visto che alle imprese conviene (vuoi mettere i risparmi di costi di gestione) a proseguire nel remoto saranno – spiega sempre l’Osservatorio del Politecnico – 5,35 milioni di dipendenti, di cui 1,72 nelle grandi aziende, 920mila nelle Pmi, 1,23 milioni nelle micro imprese e 1,48 milioni nelle pubbliche amministrazioni.

Se così sarà, i problemi non mancheranno. Di ogni tipo. Per adattarsi alla nuova normalità serve fare un passo in più. L’Osservatorio indica la strada: mentre le imprese dovranno essere chiamate a un ripensamento dei processi aziendali, sarà utile che i milioni di casalinghi di ritorno abbiano l’opportunità di migliorare le loro competenze digitali, favorendo responsabilità e un’organizzazione autonoma con orari più flessibili che, anche secondo la legge vigente, distingue il normale telelavoro (che è quello che ora si fa realmente) dal vero smart working. Le famiglie, poi, andranno aiutate di più, perché si fa presto a dire “state a casa”, ma poi il sistema del welfare deve funzionare e le persone con figli in età scolare vanno messe al centro di questa rivoluzione non solo occupazionale, ma anche sociale e culturale. Insomma, se proprio indietro non si tornerà, almeno cogliamola questa opportunità di diventare un Paese più moderno e tecnologicamente avanzato. Altrimenti anche in questo campo l’avrà vinta il virus.

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