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Intervista a Pupi Avati: “Aspettare le sale? No, grazie. Il modo di vedere il cinema cambia, meno parole, più idee”.

Il  grande regista va controcorrente e cede alle piattaforme in streaming. Dall’8 febbraio sarà su Sky: “Inutile fare gli schizzinosi, se faccio un film voglio che sia visto”. Ma, in piena crisi, il mondo della cultura è diviso.

Il suo atteso ultimo film, Lei mi parla ancora, uscirà su Sky l’8 febbraio. La storia d’amore tratta dal libro di Giuseppe Sgarbi, girata tra Roma e Ferrara la scorsa estate, era pensata per le sale cinematografiche. Già, peccato che sono chiuse e chissà fino a quando.

locandina
La locandina del film di Pupi Avati in uscita l’8 febbraio su Sky

E allora, che fare? Lui, Pupi Avati, uno dei più grandi registi italiani, 82 anni e sui set da mezzo secolo, è andato controcorrente. “Basta piagnistei. Se faccio un film voglio che lo si veda”, spiega pragmatico, ammettendo però di avere avuto grossi dubbi.

Pupi Avati, ci racconti. Perché alla fine anche lei ha ceduto alle piattaforme?

“Beh, sono ovviamente preoccupato per la situazione critica in cui versano le sale, di cinema e di teatro. Ma alla fine alla decisione di uscire in streaming hanno contribuito due fattori. Per prima cosa, l’insistenza della committenza di Sky/Vision mi ha lusingato e non capita spesso di vedere tanto entusiasmo.

Secondo: ho la sensazione che le sale, se andrà bene, riapriranno non prima della tarda primavera. E sarà un processo graduale perché i film fermi e in attesa di arrivare nelle sale sono tanti e bisognerà mettersi in fila. Uscire in estate? No grazie. Io ho vissuto l’esperienza due anni fa con Il signor Diavolo e il risultato non è stato certo dei migliori”.

Insomma, meglio tutto e subito. Anche se così ha forse deluso i cinefili duri e puri?

“Inutile fare troppo gli schizzinosi. Già prima dei lockdown andare al cinema non era più un’abitudine. Io vedo i miei figli, soprattutto i miei nipoti: i giovani non vanno più al cinema. Se ne stanno sul divano e possono scegliere tra mille proposte tra film e serie tv, parlo di quantità e non di qualità sia chiaro. Purtroppo ora, dopo quasi un anno di sale sbarrate, con un calo di spettatori e di incassi che fa paura, la crisi si è aggravata. Sono pessimista, lo ammetto”.

Che fare, quindi? E’ una partita persa o si dovrà trovarlo il modo per riportare il pubblico davanti a un grande schermo?

“Sì, ma oltre ai dibattiti, dobbiamo creare delle aspettative, delle attrattive. E dobbiamo farlo adesso, prima che sia troppo tardi. Io ho proposto di girare, per esempio, dei filmati che invitino la gente a tornare nelle sale con gli amici, occorre puntare sulla nostalgia del cinema, sulla magia persa. Gli stessi esercenti che ora si lamentano vanno aiutati. Servono idee nuove, seduttive, capaci di fare uscire le persone dalle case.

Quando questa riapertura avverrà dovrà esserci uno sforzo collettivo: sarebbe bello se tutti gli autori, attori, sceneggiatori del cinema italiano accompagnassero i loro film anche nelle sale più decentrate, più periferiche. Così potremmo dimostrare una vera vicinanza agli esercenti. Insomma, dobbiamo rendere solenne e spettacolare il ritorno del cinema nelle sale”.

Molti suoi colleghi registi sono divisi. Carlo Verdone ha detto che non si arrende alle piattaforme, nonostante abbia un film pronto da un anno. Paolo Sorrentino invece ha scelto Netflix per il suo E’ stata la mano di Dio.

“Il dibattito è aperto, ne abbiamo discusso anche nel recente incontro dell’Anac. Io sono stato messo in minoranza. Capisco il ruolo della cultura, l’importanza dei luoghi di socializzazione dove proporre la visione collettiva sul grande schermo, ma alle parole degli addetti ai lavori  vanno preferiti i fatti”.

E le campagne servono?

“Io condivido senza riserve alcune iniziative, come la campagna Cineripresa di don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello spettacolo. Si tratta di riflettere e di capire, e questa iniziativa va in questa direzione, perché la crisi della sala sia innanzitutto una crisi non economica, ma di socialità e di cultura. Qui siamo di fronte a una svolta epocale: o ci si rinnova davvero, e ci si unisce tutti, o il destino del vecchio modo di vedere il cinema è segnato”.

Anche i grandi Festival si sono adeguati ai tempi. A Venezia due anni fa si storceva il naso se i film in concorso erano targati Netflix. Ora le cose sono cambiate.

“Ma tutto è cambiato. Fare i distinguo è quanto meno anacronistico. Soprattutto in questa grave situazione. Perché si girano film? Per essere visti. Il mio lavoro si basa su questo”.

E allora veniamo al suo ultimo lavoro. Tra poco dunque lo vedremo su Sky e in streaming su Now Tv. Sono state difficoltose le riprese causa Covid?

Renato Pozzetto e Fabrizio Gifuni in una scena del film

“Per niente. Abbiamo girato in agosto tra Roma e Ferrara, con rigidissimi controlli sanitari, tra ripetuti tamponi e test seriologici alla troupe e al cast, me compreso. Nessuno si è infettato.

La storia è quella dell’amore durato 65 anni, un amore che dura oltre la morte, tra Nino e Caterina (i genitori di Vittorio e Elisabetta Sgarbi, Ndr.), tra gli interpreti Renato Pozzetto, Stefania Sandrelli, Isabella Ragonese, Lino Musella e Fabrizio Gifuni.  Che dire? Spero che vi piaccia. Lei lo guardi, mi raccomando”.

Sicuramente. E come i tanti altri ammiratori del suo filone horror-padano attendiamo anche il seguito de Il signor Diavolo, visto che ha scritto anche il “sequel” uscito da pochi mesi in libreria…

“Eh, sì, qui è un po’ complicato… Non me lo fanno fare. Vediamo come andrà a finire”.

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