L’australiano era il terzo uomo sul celebre podio olimpico di Città del Messico 1968, quello dei pugni neri di Tommie Smith e John Carlos. Per il suo sostegno alla protesta antirazzista venne emarginato in patria.
Una foto storica, scattata sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi del 1968 a Città del Messico. Tutti guardano loro, i due atleti neri scalzi e col pugno alzato Tommie Smith e John Carlos. Ma c’è un terzo velocista bianco, un australiano, con la medaglia d’argento al collo e con la spilla del Progetto olimpico per i diritti umani, un movimento per l’uguaglianza, appuntata al petto in segno di solidarietà con i due avversari (poi diventati amici), su quel podio diventato famoso. È Peter Norman, “L’uomo bianco a sinistra” (Bolis Edizioni), al quale il giornalista Gianluca Morassi ha dedicato il suo ultimo libro.
Gianluca Morassi, chi è Peter Norman?
“Peter Norman è un atleta australiano che in quei 200 non era tra i favoriti a salire sul podio. Già arrivare in finale, quindi tra i primi otto, sarebbe stato un successo. E, invece, grazie al tartan, all’altura (che hanno esaltato le sue caratteristiche di corsa) e a una forma strepitosa arrivò secondo. Norman proviene da una famiglia che fa parte dell’Esercito della salvezza, di cui egli stesso è componente. È quindi cresciuto con valori definiti: gli uomini sono tutti uguali, non ci sono razze né ricchi e poveri, tra le persone ci deve essere solidarietà. Per propagandare questi valori Norman correva con una tuta con la scritta “Gesù è pace”.
Norman pagò a caro prezzo il suo coraggio. Cosa ti ha affascinato della sua scelta di non girare lo sguardo dall’altra parte mentre Smith e Carlos alzavano quel pugno guantato di nero in mondovisione?
“Molti si chiedono se quando si appuntò quella spilla era consapevole di quanto stava facendo. Sì, ne era consapevole proprio perché era stato educato a certi valori e fin da ragazzo giocava con amici asiatici, mentre gli altri bianchi li evitavano. Quindi, la sua è stata una scelta consapevole: voleva testimoniare solidarietà e adesione al gesto di Smith e Carlos. Forse, anzi senz’altro, non si aspettava che un gesto simile gli costasse così tanto, in termini di emarginazione da parte del mondo dello sport australiano”.
Peter Norman è morto nel 2006. Si è mai pentito di quel gesto?
“No, negli anni lui ha sempre detto che non si è mai pentito, anche se la sua poi non è stata una vita facile, e che per sempre sarebbe stato al fianco di Smith e Carlos”.
Cosa ti è piaciuto della sua storia al punto da dedicargli un libro?
“A me piacciono le storie di atletica che però vanno oltre il fatto sportivo, storie che raccontano la cronaca e i personaggi. E, come si dice, i perdenti sono sempre più interessanti dei vincenti. Poi Norman ha avuto la forza di cadere e di rialzarsi”.
Si può definire un eroe questo uomo bianco a sinistra?
“Non direi che un eroe. È stato una persona che ha avuto la forza di essere coerente con le sue idee. Nel libro, la definisco dignità che ritengo sia l’insieme dei comportamenti che uno tiene per tutta una vita, mentre il coraggio può essere anche solo il gesto di un attimo che poi magari è smentito da altri. Norman ha sempre creduto e difeso i valori in cui era stato educato e cresciuto”.
Come sei riuscito a riassumere questa storia in modo tanto avvincente? Il libro, sia pure documentatissimo, si legge tutto d’un fiato, ed è davvero da consigliare anche a chi non è appassionato di atletica. Sei stato bravissimo a destreggiarti tra cronaca e reinvenzione letteraria.
“Mi piace cercare i legami tra le persone, trovare particolari di un determinato momento, anche con il rischio di diventare noioso e pedante. Ma per me sono aspetti divertenti. E poi cerco di mescolare questo mix di ingredienti. Le fonti principali direi che sono stati il libro e il documentario che Matt Norman ha dedicato alla storia dello zio. E poi tanti giornali, libri, internet”.
Il tema della protesta degli afroamericani, legato anche al movimento “Black lives matter” è quanto mai attuale. Abbiamo appena visto i calciatori degli Europei inginocchiarsi (non tutti, in verità), prima dell’inizio delle partite. È un caso che il libro sia uscito proprio ora?
“Il tema è attuale per quanto sta succedendo negli Usa e poi perché stanno per iniziare le Olimpiadi a Tokyo. Ma non sono questi i motivi che mi hanno spinto a raccontare la storia di Peter Norman. Era solo una storia che mi piaceva”.
Un vincente o un perdente, Peter Norman? Buona la prima. Eppure l’Australia lo aveva emarginato. Dal 1968 al 2018, tanto c’è voluto per riabilitarlo nel suo Paese, mentre negli Usa non si sono mai dimenticati di lui e del suo gesto rivoluzionario.
“Sì, in Australia la storia di Peter Norman per anni è stata semi sconosciuta, proprio per l’emarginazione che ha subito il protagonista. Non ci sono mai stati gesti clamorosi nei suoi confronti, ma un non detto che l’ha tenuto ai margini dello sport e forse anche della carriera lavorativa. Va comunque ricordato che nel 1972, Norman aveva tutti i requisiti cronometrici (quelli che vengono definiti i minimi di partecipazione) per essere convocato alle Olimpiadi di Monaco. E invece la federazione australiana lo lasciò a casa. Secondo Norman e molti altri, l’esclusione fu una conseguenza del podio di Messico 1968, mentre la federazione ha sempre sostenuto che non venne convocato perché non vinse le gare ai campionati australiani.”
Tutte scuse, insomma.
“Inoltre, Norman, il cui record sui 200 è ancora il primato australiano, fu uno dei pochi medagliati australiani che non partecipò alla cerimonia di apertura dei Giochi olimpici di Sydney. Il Comitato olimpico si giustificò dicendo che non aveva i soldi per ospitare a Sydney tutti i campioni olimpici. Fatto sta che Norman venne ospitato a Sydney dalla nazionale americana. Per tutti gli atleti Usa di colore (che sono la stragrande maggioranza in atletica), Norman è stato un mito per come si è comportato sul podio di Città del Messico. Alla fine, quando Norman era morto da anni, il parlamento australiano ha votato all’unanimità una mozione che riconosce il suo gesto a difesa dei diritti civili”.
Già, e comunque non si sono mai dimenticati di lui Smith e Carlos. È anche una storia di un’amicizia vera, struggente nel finale…
“Sul podio di Città del Messico è nato un legame molto profondo fra i tre protagonisti, un legame che i tre paragonano a quello che si instaura tra i commilitoni in guerra. I tre si sono incontrati non più di cinque sei volte, ma quel gesto li ha uniti per la vita. E quando Peter Norman è morto all’improvviso a 64 anni colpito da infarto, il 3 ottobre 2006, Tommie Smith e John Carlos sono partiti dalla California, hanno attraversato il pianeta e hanno raggiunto Melbourne per partecipare al funerale e sorreggere il feretro. È storica la foto di Smith e Carlos che portano a spalla la bara del loro amico per una vita”.
Non possiamo, infine, non accennare ad altri due campioni ai quali tu, appassionato di atletica, hai dedicato i tuoi primi due libri. Stiamo parlando di Roger Bannister e di Frank Shorter.
“Bannister è stato il primo uomo a correre il miglio sotto i quattro minuti. Un’impresa che per il mondo anglosassone si può paragonare alla vittoria in un campionato del mondo di calcio. Il giorno dopo la sua impresa, Bannister andò all’università di Oxford per sostenere un esame. Alla fine il prof gli disse: ma lo sa che lei è più famoso dello scopritore della penicillina. Sì, lo so e mi dispiace, rispose. Roger Bannister è poi diventato un neurologo di fama mondiale. Frank Shorter ha vinto la maratona olimpica di Monaco e con quella vittoria (trasmessa in diretta Tv negli Usa) ha fatto diventare la maratona quel fenomeno di costume che è oggi: basti pensare ai 50mila al via alla maratona di New York”.
L’autore: Gianluca Morassi, giornalista professionista, è nato a Udine nel 1962 e vive e lavora a Lecco. Ha collaborato con “Il Sole 24 Ore” ed è responsabile delle pagine di economia de “La Provincia di Lecco”. Da sempre appassionato di atletica, ha praticato in gioventù il mezzofondo a buoni livelli agonistici. Ha pubblicato “Il miglio inglese” (2018) e, con Bolis Edizioni, “La corsa di Shorter. Quando la maratona diventò pop” (2019, finalista premio Invictus 2020).
Gianluca Morassi presenterà il suo libro domenica 18 luglio, alle ore 18, a Villa Bertarelli di Galbiate (Lecco) nell’ambito degli Aperitivi Letterari organizzati dal Parco del Monte Barro
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