Paolo Cognetti, milanese, classe 1978, ha deciso di trasferirsi in una baita in Valle d’Aosta, dove scrive i suoi libri. Notizie Geniali lo ha intervistato per capire come è riuscito a vendere in 40 Paesi raccontando della montagna meno pop.
Vive in una baita a 1800 metri in Val d’Ayas, ai piedi del Monte Rosa, non ama i riflettori anche ora che è uno scrittore famoso. E sul turismo in quota è d’accordo con Messner.
Cognetti, lei è definito uno scrittore geniale. Con “Le otto montagne”, premio Strega nel 2017, ha scalato oltre alle cime anche le classifiche.
“Mah, forse la mia fortuna è stata avere scritto una storia che ci avvicina alla natura in un’epoca in cui si vive virtualmente davanti a uno schermo, piccolo o grande che sia. Soprattutto le nuove generazioni hanno riscoperto il desiderio di abbandonare mode e costumi imposti per imparare a essere padroni del proprio tempo. Con questo non dico che lasciare la città per andare a stare in una malga sia sempre facile o meglio fattibile. Ma se il romanzo è piaciuto ed è stato tradotto in 40 Paesi, sicuramente è perché la montagna non è più vista solo come un devastante business turistico: un altro modo di viverla è possibile”.
Voglia di libertà. È rimasto “Il ragazzo selvatico” di uno dei suoi primi libri?
“In un certo senso sì. Anche se da quando sono diventato un caso editoriale, bruttissimo a dirsi, la mia vita ha rischiato di cambiare. Il percorso è stato lungo, dalla scrittura iniziata a 18 anni, tra viaggi e tanti sogni, al successo vero e proprio arrivato a 40. La soddisfazione più grande? Dopo oltre vent’anni mantenermi con ciò che scrivo. Abito sui miei amati monti e torno comunque ogni tanto a Milano, la mia città. Poi c’è l’aspetto che mi piace meno: troppi riflettori, tra un’intervista e una promozione, anche tante all’estero, ne uscivo frastornato. Adesso però ho ritrovato la pace”.
Ed è tornato a fare discutere per la sua presa di posizione contro la riapertura dello sci.
“Come ho scritto recentemente, è avvilente per chi ama la montagna assistere in questi giorni al dibattito sull’apertura delle piste da sci. Come se in montagna non ci fosse altro da fare che sciare. Si possono fare tante altre cose, dopo essere saliti in quota con le proprie gambe: esplorare, passeggiare, semplicemente respirare e godersi panorami e silenzi. Il distanziamento oltretutto è assicurato. Non la penso solo io così, è lo stesso parere di Michele Serra e di un personaggio che di cime se ne intende, Reinhold Messner”.
Sì, ma gli impiantisti insorgono. Dicono che loro tengono in piedi l’economia di montagna.
“Io non voglio polemizzare con chi lavora grazie allo sci di discesa. Capisco le loro difficoltà. Qui, in Valle d’Aosta, ho molti amici che campano di questo. Dico che bisogna approfittarne per una visione nuova, più geniale: meno parchi di divertimento sulla neve e puntare più sui rifugi e sul cibo, sulle escursioni con le ciaspole, sul trekking, sullo sci di fondo. Insomma, la montagna in inverno non è morta senza l’apertura di funivie e impianti di risalita”.
Oltretutto, un nuovo modo di vivere la montagna sarebbe tutto dalla parte dell’ambiente, giusto?
“Certo. Sa quanta natura ci costano le piste da sci? Interi versanti disboscati ed estirpati, per non parlare delle operazioni elettriche e idrauliche per alimentare con l’acqua di fiumi e laghi i cannoni che sparano neve artificiale. Detto questo, io adoro abitare in un luogo selvaggio, ma non sono un ambientalista duro e puro, non sono per il ritorno dei pastori con le capre. Serve semplicemente più buon senso. E un po’ di voglia di innovare imprenditorialmente un settore vitale. Anche di fare scelte controcorrente”.
Come ha fatto lei che da anni ha lasciato la città e vive in una baita? A proposito, ora qual è il suo sogno?
“Lo sto finalmente realizzando: un rifugio, lo aprirò la prossima estate, qui in Val d’Ayas. Sarà un luogo speciale, dove si respirerà montagna e cultura, sulla scia del festival Il richiamo della foresta, una tre-giorni di arte, libri e musica che ormai porta migliaia di persone a Brusson”.
Complimenti. Un’iniziativa geniale.
“Sì, soprattutto perché il mio rifugio-ostello sarà davvero aperto a tutti, dai lettori alle associazioni che si occupano di sviluppo del territorio, ma anche alle scuole e a enti come il CAI. È strano per me diventare una sorta di imprenditore, ma quando parlo di nuove strategie per l’economia montana intendo proprio anche questo: avviare un progetto che coniughi ricettività e rispetto della montagna”.
[…] nemmeno i contributi degli scrittori, tra cui Matteo Righetto ed il vincitore del Premio Strega Paolo Cognetti, dei giornalisti, tra cui Max Cassani su “La Stampa” e dei partiti politici, tra cui il […]