Secondo l’Unione Nazionale Consumatori i servizi di alloggio e ristorazione hanno visto i prezzi lievitare del 7% rispetto allo scorso sanno. L’esperto dello studio Commercialisti BCD ci guida alla scoperta di cosa c’è dietro a questi aumenti e di quanto costa gestire un bar.
Le vacanze estive appena terminate saranno ricordate come quelle con il record di presenze di turisti in Italia e anche per l’aumento dei costi dei servizi di accoglienza, dagli hotel, ai bar, ristoranti, fino alle gelaterie e pasticcerie. Leggendo queste parole molti di noi si ritroveranno in queste affermazioni, viste le code fatte in autostrada o per accedere alle località turistiche. Ma non è solo una percezione, anche le statistiche lo confermano. Ma quanto costa gestire un bar?
L’Unione Nazionale Consumatori ha condotto uno studio, elaborando i dati Istat dell’inflazione di luglio 2021, facendo emergere, per ciò che riguarda i servizi di alloggio e di ristorazione, che si sono raggiunte percentuali di oltre 7% punti percentuali di inflazione a fronte di un 2% di media. Ma la cosa forse meno digeribile è che oltre alle code e ai rincari, abbiamo assistito spesso a servizi non di qualità, soprattutto non in linea con l’aumento dei costi e con personale poco preparato, se non improvvisato.
Passiamo ora alle cause, o meglio alla causa, perché secondo gli esperti all’origine di tutto c’è il Coronavirus con le limitazioni imposte agli esercenti dei locali pubblici nel corso del 2020 e nei primi mesi del 2021. Queste misure, se da un lato hanno aiutato a contenere la pandemia, dall’altro hanno portato a una serie di conseguenze negative e forse imprevedibili sul settore. La più drammatica è sicuramente quella delle chiusure delle attività. Si parla di decine di migliaia di hotel, bar e ristoranti che non sono stati in grado di coprire i costi fissi con riserve accantonate. Altro effetto delle chiusure è stata la perdita di fatturato, che nel 2020 è arrivata a superare il 50% rispetto all’anno precedente e le conseguenti chiusure in deficit delle aziende, con la necessità di ricapitalizzare con risorse proprie.
Infine, le lunghe chiusure e le incertezze sulle aperture hanno portato il personale, in particolare quello stagionale e non coperto da cassa integrazione straordinaria, a trovare una nuova occupazione in altri settori. Gli esercenti si sono così trovati ad arrangiarsi in autonomia o con persone meno esperte. Le soluzioni adottate dai titolari dei locali non sono sempre state all’altezza dei consumatori, visto che come dicevamo all’inizio hanno pensato bene di aumentare i prezzi dei prodotti e scegliere personale non sempre all’altezza e a volte anche mal pagato.
Ma se la prospettiva del consumatore è qualcosa che tutti noi sperimentiamo e conosciamo per esperienza diretta, quella degli esercenti è sicuramente meno nota. Per questo, con l’aiuto di Andrea Da Ponte, dello studio Commercialisti BCD, abbiamo voluto provare a ricostruire i costi che un bar di provincia, di piccole dimensioni, deve sostenere e i relativi guadagni.
“Distinguerei tre tipologie di costi. In primis i cosiddetti costi ricorrenti che ci sono a prescindere dagli incassi e che per questo che hanno messo maggiormente in difficoltà le aziende della ristorazione e ricezione (in periodo Covid)”, sottolinea Andrea Da Ponte. “Stiamo parlando dell’affitto del locale, delle utenze come luce e gas, che per un’attività commerciale sono superiori rispetto ad un privato, delle parcelle del commercialista e del consulente del lavoro per le buste paga, per canone Rai, per la connessione internet, solo per citare le principali. Nell’esempio preso in considerazione, quello di un piccolo bar di paese possono essere stimate in circa 2.000 euro al mese”.
Poi ci sono le spese per il personale: due persone a tempo pieno possono costare circa 3.500-4.000 euro al mese a seconda delle ore fatte. E, infine, ci sono i costi variabili, legati alla materia prima come il cibo e le bevande.
“Questi aumentano in proporzione alle vendite e durante le chiusure sono stati quelli che hanno appesantito meno gli esercenti. Per fare un esempio, una bottiglia di vino può costare dai 5 ai 15 euro e la birra alla spina circa 2-4 euro al litro a seconda della qualità. Venendo agli incassi, sempre nell’esempio del nostro bar di provincia, è facile capire che una pinta di birra venduta a 5 euro, se si considera il costo della materia prima, consente un margine di circa 3 euro e non andiamo distanti da un calice di vino venduto a 3-4 euro. Provate ad immaginare quante pinte di birra o bicchieri di vino servono per coprire gli altri costi mensili, i 2.000 euro di costi fissi e i 4.000 euro per il personale”.
Elencati questi costi, forse saremo un pizzico più comprensivi di fronte ai conti per le consumazioni nei bar e ristoranti italiani. Almeno in questo periodo post chiusure.
Leggi anche Il lavoro nel 2021: non solo brutte notizie, ma anche nuove opportunità.