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Sgarbi: vi spiego perché sono l’unico genio in un’Italia di burocrati

Personaggio per caso, geniale per Dna, non sa cosa sia la modestia, ma da trent’anni fa notizia. Ora ha due obiettivi, anzi tre: riaprire i musei, combattere l’allarmismo sanitario, diventare sindaco di Roma. E se dovesse andar male, si accontenterebbe di fare il ministro della Cultura.

“Interviste geniali a persone geniali? Beh, complimenti per la scelta, con me non potevate iniziare meglio. Sono il numero uno”.

Nel bene e nel male. Lei, Vittorio Sgarbi, è il personaggio più amato, ma anche più odiato d’Italia.

“Lo so, ed è giusto così. Diciamo che faccio sempre notizia, ma che quello che dico, vabbè o che grido, non piace a tutti. Ma sono molti anche i cittadini che mi fermano per strada e mi ringraziano perché sono l’unico che spiega le cose come stanno, senza peli sulla lingua. Prendete questa storia del Covid. Sono uno dei pochi a sostenere, come ho fatto sulla Verità di Belpietro, che in Italia siamo in un regime sanitario”.

Del virus parleremo dopo. Prima, ci dica, come è nato il suo personaggio tutto genio e sregolatezza?

“Un po’ per caso, in realtà. Non era mia intenzione diventare una star. Nell’89 mi ritrovai sul palco del Maurizio Costanzo Show. Avevo vinto il Premio Estense, ero un giovane ispettore alla Soprintendenza ai beni storici e artistici del Veneto. Ma alle provocazioni non resistetti e sbottai con la mia prima parolaccia in tivù. In tre mesi diventai un personaggio”.

Così poi in ufficio la videro ben poco, tra certificati medici e aspettative. E fu anche condannato per truffa allo Stato.

“Meglio tornare alle mie prime polemiche televisive. Dicevo che divenni famoso per un insulto. Da allora, e sono ormai trent’anni, grazie alle mie pubblicazioni e ai miei programmi, tutti mi conoscono. “Sgarbi quotidiani”, in onda su Canale 5 dal 1992 al 1999, fu memorabile. Ma la svolta del vero successo è stata anche un’altra”.

Indoviniamo: sempre una rissa in tivù?

“Certo, arriviamo al 2002, ero ospite da Chiambretti, ci fu uno scontro con Aldo Busi e lì sbottai nella prima raffica di “Capra! Capra! Capra!”. L’apoteosi. Ora mi conoscono anche i bambini, perché grazie all’avvento dei social ho avuto una seconda giovinezza. Il mio “Diario della capra” è un must. C’è una sola persona che mi ha eguagliato distinguendosi per un termine, Mike Bongiorno: lui con “Allegria!”, io con “Capra!”.

Sono soddisfazioni, Sgarbi. In realtà lei ha un curriculum pazzesco.

“Pochi in Italia mi battono. Critico e storico dell’arte, docente universitario, curatore di mostre e di cataloghi, saggista e scrittore, opinionista, deputato, sindaco. E, ci tengo molto, unico vero libero pensatore controcorrente, instancabile difensore dell’arte e della cultura”.

Anche prossimo primo cittadino di Roma?

“Vedremo, per ora mi candido, sì. Il mio nome è ideale per risollevare questa città dal degrado. Sarà una campagna tutta mediatica, ma ho già iniziato a girare per i quartieri di Roma. Come primo atto renderei gratuiti tutti i musei civici”.

Ma, all’alba dei 68 anni, il suo vero sogno qual è?

“Fare il ministro dei Beni culturali. Questo mi manca. Sarei il migliore di tutti. Ma mi rendo conto di essere un po’ scomodo. Anche Berlusconi aveva fatto più di un pensiero, ma lasciò perdere. Sono ingovernabile”.

A proposito di musei, perché secondo lei in questa fase Covid andavano lasciati aperti?

“Perché la cultura, e parlo anche di mostre, cinema, teatri e biblioteche, serve a vivere meglio, è l’ospedale dell’anima, soprattutto in questo regime pandemico. Ho presentato ricorso al Tar del Lazio per ribadire che i musei sono servizi essenziali, al pari della scuola, della sanità e dei trasporti, come stabilisce il Decreto Colosseo del 2015”.

Una battaglia, la sua, che rischia di restare inascoltata.

“Spero di no. Trovo scandaloso che tutti i luoghi della cultura, dove tra l’altro i contagi sono pochissimi, siano inaccessibili. E con quale scusa, poi: il ministro Franceschini vuole solo rinchiudere tutti in casa, scongiurare assembramenti che in un museo sono inesistenti, per paura di una malattia non definita, di cui neanche virologi ed esperti vari capiscono nulla”.

E ci siamo arrivati, al virus. È davvero un negazionista?

“Non sono negazionista, sono realista. C’è troppo allarmismo, la mortalità è legata spesso ad altri fattori, a patologie pregresse. La maggior parte degli asintomatici sta bene, e comunque tanti contagiati dopo qualche giorno di cure si rimettono. Non dico che sia una semplice influenza, ma questo virus non può togliere a tutti la libertà. Per questo parlo di dittatura sanitaria”.

Ora pare in arrivo il vaccino, potrebbe essere l’unica vera notizia geniale.

“Sì, ho letto. Una buona notizia, certo. Oltretutto è della Pfizer, l’azienda farmaceutica del Viagra. Mi sembra di buon auspicio”.

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