La riforma costituzionale del 2020 ha posto le basi per un cambiamento, ma il processo sembra comunque destinato a essere controllato dall’attuale presidente.
L’analisi di fenomeni politico-sociali attraverso schemi pre-confezionati non sempre aiuta a fornire una fotografia di insieme dei processi di trasformazione di determinati contesti.
La riforma costituzionale del 2020
Questo vale soprattutto quando si cerca di fornire previsioni sui processi di transizione istituzionale o sui cosiddetti cambi di regime politico. Qui non è nostra intenzione tornare sulle polemiche riguardanti articoli che hanno innescato accuse e contro accuse da più parti, ma vogliamo fornire una serie di chiavi di lettura su quello che potrebbe essere lo scenario politico interno alla Russia nel prossimo futuro.
Molto si è commentato nel corso di questi due anni su quali fossero realmente gli obiettivi della riforma costituzionale russa approvata nel luglio 2020. Il focus dell’analisi si è spesso soffermato solo su uno dei punti di quel referendum: la possibilità per il presidente Putin di correre per altri due mandati.
A nostro avviso quella riforma contiene altri due pilastri che modificheranno il funzionamento istituzionale russo di domani – se questo resterà tale: il rafforzamento di una soprastruttura burocratica, il Consiglio di Stato e il potenziamento del ruolo della Duma (Camera bassa) sulle prerogative presidenziali.
Il putsch dall’interno? Sembra escluso
Ci sentiamo di scartare l’ipotesi che affascina una certa letteratura giornalistica e accademica, quella di un putsch dall’interno. Il consenso attorno al presidente è ancora alto, nonostante il fisiologico calo degli ultimi anni. Un colpo di mano che lo eliminerebbe porterebbe sicuramente a tensioni tali da destabilizzare il Paese a tempo più o meno indeterminato.
Sanzioni e ritorno ad un vecchio modello semi-autarchico potrebbero necessitare di nuova linfa politica, con soggetti nuovi agli occhi dell’opinione pubblica interna ed estera, garantiti dalle élite di apparato e sotto la guida del presidente. Qui potrebbe prendere forma l’ipotesi quindi di una transizione graduale dove Vladimir Putin potrebbe andare a sedere sullo scranno presidenziale – del Consiglio di Stato – nominando un presidente ad interim come fu per lui nel 2000. Questo potrebbe richiedere un rimpasto di governo dove Mishustin potrebbe continuare a controllare i dossier economici lasciando il posto al candidato da lanciare verso le elezioni anticipate.
Transizione a Mosca: l’ipotesi soft
Altra ipotesi è che il presidente rimanga al Cremlino sino al 2024 preparando una transizione soft. Questa consisterebbe in un cambio generazionale nell’apparato burocratico-istituzionale, già auspicato da tempo, ma di fatto rallentato dalla pandemia (funzionari sì giovani, ma sempre conservatori). Qui si potrebbe aprire la strada verso una competizione elettorale tra élite, dove ognuna di queste spingerebbe per il proprio candidato con attorno i vari oligarchi che si creerebbero un proprio spazio all’interno di ognuna di queste.
Il ruolo della Duma nel nuovo assetto
In questo ultimo contesto il ruolo della Duma non sarà irrilevante. Organo dello Stato con prerogative potenziate, questa esprime non solo il consenso dal basso, ma è anche termometro delle istanze periferiche che in questi ultimi anni hanno corroso una parte del consenso verso il partito del presidente.
Se un nuovo consenso ci sarà dovrà passare principalmente da una forte iniziativa parlamentare pronta ad essere promotrice e non regolatrice delle riforme necessarie al paese.
La nuova emergenza compatterà la popolazione orientata verso un forte “spirito di sacrificio autarchico e supporto alla leadership”, ma questo non escluderà la voglia di cambiamento e riforma.
Al netto di colpi di scena, la transizione ci sarà, ma sarà lenta e altamente istituzionalizzata.