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Fuori dalla metropoli e dentro Milano: trattoria Casottel

Luogo cerniera tra la città e la campagna sud di Milano, la trattoria Casottel è un locale di resistenza umana, di umori densi, di risate grasse e cortesie sincere. 

Le trattorie di una volta, ci sono ancora? Non ci sono più? E poi, “una volta” quando? A dire il vero, non si sa se siano mai esistite. Almeno, non si sono mai vissute in prima persona. Se ne ha avuto qualche assaggio nei film, nei libri. Come in “Tre uomini e una gamba”, nella veranda della trattoria dove Giovanni si arrampica sui vetri, definendo meccanica di precisione il suo lavoro nella ferramenta del suocero. O nelle leggendaria Casa Leopoldo, uno dei locali barcellonesi prediletti dal detective gourmet Pepe Carvalho, creato dalla penna di Manuel Vaquez Montalban.

Nonostante non siano mai state vissute in prima persona, si sa esattamente come fossero. Sarà l’inconscio collettivo o forse solo l’immaginazione. Ma il disegno è ben chiaro.  

Sono come quella che tuttora resiste al Corvetto. Ai limiti della città, verso l’abbazia di Chiaravalle: è la trattoria Casottel. Un luogo cerniera tra la metropoli e Milano. Una porta scorrevole che ti fa uscire dalla città e ti fa entrare in quell’aggregato sociale con più di duemila anni di storia che è appunto Milano. Un locale di resistenza umana, di umori densi e diffusi, di immagini sbiadite e fuorimoda, di tozzi calici, di gesti sgraziati, di tovagliame plastificato, di risotti fumanti, di risate grasse e cortesie sincere. 

Esattamente come quelle delle trattorie di una volta che si possono immaginare, anzi, che si ricordano perfettamente, senza peraltro mai esserci stati. Ma questo l’avevamo già detto. 

Il Casottel, dove la regiura diventa la “trattora”

A reggere l’impalcatura di questo locale fuori dal tempo c’è una signora che il tempo l’ha invece passato. Superati gli ottanta, Isa Robecchi milanese di origini mantovane, è il deus ex machina del locale. Ama definirsi “la trattora”. È colei che alla fine degli anni novanta, dopo aver gestito un locale in via degli Orti, ha investito trent’anni della sua vita in questo cascinale con cortile, con pergolato, con vite americana abbarbicata a pali improbabili e con bocciofila (ex, ora non c’è più). 

Locale popolare vero, umano, vecchio (sì vecchio, con arredi demodè, pietanze d’altri tempi, bazzicato da personaggi impossibili catapultati qui da non si sa dove grazie a una macchina del tempo). Non c’è traccia di immagine fine a se stessa, di design, di mission, di fiction, di marketing. 

Il Casottel offre ristoro agli stomaci, ma più che altro alle anime fiaccate dal distanziamento sociale di questo globale post umanesimo. Menu lavoratori, quindici euro quindici, pasta d’ordinanza, cotoletta immancabile. Poi in estate vanno molto i quartini di bianchi frizzanti, beverini, senza nome né origine controllata. 

Nel fine settimana l’offerta aumenta, ci sono le paste fresche, a volte la trippa, il risotto. Un melting pot meneghino mantovano che mette a tappeto ogni fan delle cucine nippo-brasiliane o cino-giappo. Chi l’è inscì (qui è cosi) in questo angolo di Milano che si ricorda di avere el coeur in man, che strizza l’occhio alla “Pacciada” di Gianni Brera e che sa accogliere poeti, operai, viaggiatori e pensionati, di qualunque foggia. Chiunque abbia il gusto così elevato da apprezzare questa essenziale e rarissima umanità.


Trattoria Casottel
via Fabio Massimo 25, Milano (Corvetto)
Telefono: 02 5740 3009
Prenotazioni:casottel.it

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